martedì 7 ottobre 2008

Sui greti dell'Isonzo con Elio Tavilla

Dai greti


Ripartire dai greti. Dalla nudità bianca, arida che si offre allo sguardo. Intervallata da correnti rapide, di un verde profondo, fino a diventare uno specchio immobile in cui - negati e compenetrati a questo nulla impassibile e tenero al tempo stesso - riscoprire un punto diverso, più umano da cui incamminarsi alla ricerca di una nuova definizione di sé. Una nudità, un silenzio che si impone al di là delle presenze, fuori luogo, dei bagnanti immersi in una luce agitata da un cielo in continua metamorfosi. Gli alberi, grigioverdi arbusti polverosi, si dilatano - fra le sabbie e i ciottoli - con l’abbandono trascurato e senza speranza di chi sembra sapere che, con ogni probabilità, non reggerà all’urto delle prossime, immensamente violente, piene invernali. L’acqua, ora sfuggente, che sembra preferire oscuri percorsi sotteranei come per sottrarsi ad una luce troppo impietosa, allora, nel cuore piovoso di qualche novembre futuro, si ridesterà mostrando ad un tratto la sua forza tremenda, inarginabile, di fronte a cui ogni tentativo di opporsi sarà destinato, nella maggior parte dei casi, allo scacco totale.

Le grida degli uccelli, acute e soffocate, sono lontane.
Rimaniamo in piedi come per scrutare invisibilmente, oltre la scena presente, un mondo svuotato da tutto. Sedersi diventa, qui, un’azione che nulla ha a che fare con la semplice, quotidiana ricerca di un appoggio per opporsi, per un momento, alla spinta erosiva, trascinante verso il basso della gravità. Se ci si siede è, soltanto, per fare silenzio, attorno e dentro di sé. A partire dai nostri passi fino al flusso erratico dei pensieri. Non passa, quasi mai, per la mente di sedersi così, come spesso accade, tanto per farlo; e, difatti, di noi nessuno lo fa. Nonostante la stanchezza, la temperatura sempre più alta.

Non è possibile capire un luogo senza esservisi seduti ad ascoltarlo. Ma, se il tempo a disposizione è poco, allora è meglio accettare di essere ciò che si è: degli stranieri, qualcuno che passa senza veramente vedere, qualcuno che rimane confinato nella distanza. Capire questo, forse, mi sembra l’unico modo corretto di accostarsi a qualcosa senza tradirla, sovrapporvi ciò che già portiamo con noi, offuscandola entro un giudizio superficiale, frettoloso.
Portare, poi, qualcuno in un luogo fondante per la nostra formazione interiore mette sempre in uno stato di malcelata ansia. “Riusciranno mai a capire?”, ci si chiede, “e come potrebbero capire, perchè dovrebbero, messi di colpo di fronte ad un’immensa distesa sassosa, ad una radura anonima bruciata dal sole d’agosto?”. E di solito, quasi sempre, è proprio questo che accade, che il tentativo di condivisione si infrange miseramente andando ad ispessire le solitudini, tante, di cui si venano i giorni. Gli occhi di Elio parlano, però, al di là delle parole, poche e sempre misurate parole, che impiega per esprimere le sue prime immediate impressioni. Sento che capisce ma, come in ogni suo fare, questa comprensione non si palesa ma fa da fondo, un fondo limpido e inquieto, ad ogni suo gesto, ad ogni frase detta o scritta. Questa sua esigenza di ordine e chiarezza lo fa apparire - in questo presente roso dall’approssimazione - come una figura mossa da una dignità antica e quasi dimenticata. Eppure, i testi che scrive sono sorprendentemente attuali, antica è solo la sua volontà di non arrendersi al caos, d’individuarne le ragioni e contrastarle anche, ma non solo, attraverso una ricerca poetica rigorosa, profondamente meditata in ogni suo aspetto, come per ricostruire verso dopo verso un’immagine più umana, meno alienata di noi stessi. E questo senza ricercare false sicurezze, immaginari approdi, ma anzi rimettendo continuamente in discussione ogni provvisoria conquista. Stupisce accorgersi come, nei suoi lavori, egli non si sia mai rifatto a se stesso, come ogni parola nel suo nascere non sembri mai un arrivo ma sempre e soltanto una tappa lungo un cammino aperto verso mille altre, impreviste e imprevedibili direzioni.


Scrittore dal verso nitido, depurato come da un’antichissima decantazione, il siciliano di nascita, ma modenese d’adozione, Elio Tavilla, è un autore appartato, sconosciuto ai più ma - al tempo stesso - ritenuto come una delle voci più alte della poesia del nostro paese.
Nato a Messina, nel 1957, redattore della rivista “Frontiera”, dopo aver stampato alcuni libri, che lo hanno immediatamente segnalato alla critica più attenta come “24 Poesie”, “Il cubo e l’assenza” (Premio internazionale E. Montale per l’inedito) e “Concetti semplici”, ha preferito continuare a pubblicare i suoi versi raccogliendoli in piccole, preziose plaquettes stampate al computer. Le tirature, ovviamente, sono limitatissime, rivolte a pochi fortunati fruitori. Si tratta di poesie che nascono da una profonda concentrazione interna, in cui nulla, così sembra, è affidato al caso o all’improvvisazione. Sono versi che possiedono la capacità, quasi eraclitea, di definire con esattezza il farsi di un pensiero, gli elementi naturali, la memoria nel suo sorgere e dissiparsi, senza mai imprigionare nulla entro gabbie concettuali, sempre rispettando l’inafferrabilità del loro mistero. Segni di una ricerca di una verità, secondo le parole dell’autore, “che è nel mondo ma non è verificabile nel mondo” e di cui “possiamo solo esperirne il mistero e la fatica di un avvicinamento. La poesia può testimoniare questo mistero e questo avvicinamento...”.
Un mondo rigoroso, “ tra istanza religiosa e raccoglimento domestico, tra ansia dell’estremo e gusto dell’evento minimo” secondo le parole di Robaey e Bertoni, ma smosso dall’interno dall’ansia di una perenne, limpida e oscura al tempo stesso, metamorfosi:

Un velo di vapore - <nel suo stesso fiore...>> - copre
le forme e le figure, il movimento delle mani
fatto lento e assomigliabile ad un certo
liberarsi degli uccelli dal canneto.

<<...il ritardo della mente con cui segna
croce e segno irredimibile del volto
desertificato e forse salvatore>>.

1 commento:

Unknown ha detto...

Caro Ivan, ho trovato per caso questo tuo pezzo che parla di me e di certe cose che ho scritto. Devo confessare che mi sono commosso. Grazie. Grazie soprattutto per lo spirito delicato e genuino con cui regali attenzione a ciò che ami.
Grazie e a presto,
ELIO