domenica 10 maggio 2009

Francesco Tomada, "A ogni cosa il suo nome"


L'ultima prova poetica di Francesco Tomada, "A ogni cosa il suo nome" (pubblicato dalle edizioni "Le voci della luna"), non può che rincuorarci sui destini della poesia edita in Italia in questi ultimi anni. Si tratta di testi - dobbiamo dirlo - di diversa intensità lirica e, a volte, di diversa qualità dal punto di vista contenutistico e della ricerca formale, ma testi che sono tutti comunque, dal primo all'ultimo, figli di una "poesia onesta" (onesta fino ad essere dura, dolorosamente diretta) come direbbe Saba.
Sguardi, riflessioni di un autore che non finge con se stesso né con gli altri, che da anni si impegna per amore della poesia e a favore della poesia altrui (assieme all'amico Giovanni Fierro) in modo coerente, generoso e disinteressato. Qualità che fanno di lui, anche se non fosse l'ottimo poeta che conosciamo, una persona piena di qualità oggi - purtroppo - sempre più rare nel mondo dell'arte. Un mondo in cui si è soltanto nella misura in cui si appare e in cui spesso, troppo spesso, chi vuol apparire a tutti i costi è proprio colui che più soffre di una mancanza di senso da colmare ad ogni costo, in tutti i modi all'infuori dell'unico davvero necessario: affrontarla. In modo spietato se serve, senza infingimenti, magari cominciando a fermarsi a meditare sulle lettere di Van Gogh o i testi della Dikinson. Autori quasi del tutto sconosciuti in vita ma le cui opere, create completamente senza curarsi troppo - o per niente quasi - del giudizio altrui, continuano a parlarci da quegli anni lontani con una voce più viva della stessa vita presente che viviamo. Altrimenti tutto si risolve nell'inseguimento frenetico del consenso del pubblico, consenso che solo in apparenza giustifica questo vuoto oscurandolo con le maschere del successo e delle gratificazioni economiche. Ma chi scrive o dipinge non può continuare a comportarsi come uno stilista che deve sempre essere sotto le luci della ribalta - pena il rischio di veder le proprie collezioni invendute in magazzino - e misurare il valore della propria opera a seconda dei quadri venduti o il numero di inviti ai vari festival letterari. Bisognerebbe ritornare ad imparare a tacere, di tanto in tanto - e meglio se tanto -, operare in silenzio e solo per amore del far bene le cose, come quegli artigiani di un tempo che dedicavano la massima cura a particolari di capitelli che poi dal basso, tolta l'impalcatura, più nessuno avrebbe mai rivisto per secoli. Per noi stessi, per tornare ad imparare a donare agli altri i frutti di questo silenzio senza spargere manciate di semi ovunque ma che, difficilmente, troveranno poi terreni propizi, terreni fertili su cui attecchire. Essere parchi nel dire e nel mostrarsi, come ci insegna Kavafis, significa avere anche il massimo rispetto verso coloro a cui ci si rivolge: dare agli altri solo il meglio di sé, ciò in cui crediamo veramente e che crediamo meriti di essere condiviso per fare di questo mondo un mondo più bello, più giusto, non perfetto ma certamente - questo è possibile - un po' migliore di quello in cui viviamo.
Ho parlato poco - volutamente - del libro di Tomada, lasciando ad altri certo più di me adatti (vedi su Internet nel bel blog "La dimora del tempo sospeso" la bellissima recensione di Francesco Marotta) un commento approfondito delle varie, toccanti sezioni.
I testi vanno letti in ogni caso, tutti, e meglio se letti tenendo fisicamente tra le mani questo libro, sfogliandone le pagine lentamente. Lentamente come entreremo nella sua casa, a Gorizia, attraverso la porta che ha lasciato appena aperta, mentre lui alla finestra guarda di fuori - nuvole che si raggomitolano nel cielo, una ragazzina che risponde al cellulare, le immagini nella memoria di volti scomparsi - e in quella luce ci sta aspettando.

Ivan Crico, 27 aprile 2009


(Francesco Tomada, "A ogni cosa il suo nome", "Le voci della luna poesia" 2008, prezzo 10 €)