mercoledì 7 novembre 2012


Ivan Crico e Rossano Bertolo a Baltimora
"The silver thread: a contemporary daguerrotype"

Il 7 Novembre a Baltimora (Maryland) presentazione in anteprima del nuovo lavoro di Rossano Bertolo e Ivan Crico: "The silver thread". Alla presenza di alcuni tra i maggiori studiosi americani del settore, verrà esposto per la prima volta un lavoro in cui l'intervento pittorico artistico diretto e l'antica tecnica del dagherrotipo si fondono, sulla lastra di rame argentata, per creare un'opera unica nel suo genere.

"THE SILVER THREAD
ROSSANO BERTOLO (DAGUERREIAN) & IVAN CRICO (PAINTER).

The work "The silver thread", wants to revisit, in contemporary key , the ancient custom of coloring daguerreotypes with the pigments. No longer a mere embellishment, but a dialogue between different languages, pictorial and photographic. The Sutratma in the Tibetan tradition, the silver thread of life that connects the self spiritual, to the physical body, also here a connection between two different sides - and yet intimately connected - realities. For represent the passage into another dimension, the painted image refers to an old photograph taken with a Japanese "ama" diver, which is descending into the depths of the sea linked to a thread, but in a reversed way, heading toward an reversed abyss.

sabato 31 dicembre 2011

Ivan Crico ai Musei Provinciali di Gorizia con "Italicus Saurus"






Particolare dell'opera "Italicus Saurus" di Ivan Crico esposta fino al 29 gennaio 2012 ai Musei Provinciali di Gorizia all'interno della mostra "Le connessioni dello stivale" organizzata dall'associazione di promozione dell'arte contemporanea "Prologo" di Gorizia.

Le connessioni dello stivale

"Ogni grande Artista è storico o profeta.”
Tra unità e pluralità


Venire a riflettere, a 150 di distanza, sul valore e sul significato dell'unità d'Italia, comporta non poche difficoltà a chi è sempre più preso dai problemi e dalle questioni poste dalla contemporaneità, da un mondo che è sempre più globale, da una comunicazione che è sempre più connessa in rete. Al richiamo delle celebrazioni del 150° anniversario dell'unità d'Italia, tutti noi abbiamo in qualche modo risposto rivedendo con occhi nuovi il tricolore, rinfrescando più o meno recenti memorie scolastiche che ci parlavano dell'impresa dei Mille, della Giovine Italia o della “rivoluzione senza rivoluzione”. Le immagini di Garibaldi, Mazzini, Cavour, rispolverate per l'occasione, ci sono passate davanti agli occhi, insieme a quelle di alcuni dipinti di Fattori, o magari ad alcune scene di certi film di Visconti.
Ma tornando poi alla nostra contemporaneità, il valore e il significato dell'unità d'Italia oggi, non potevano che apparirci nella loro difficoltà e contraddittorietà, o, quantomeno, nella loro molteplicità di significati, nella loro necessità di rinnovarsi.
Soprattutto in un territorio quale il nostro, unitosi all'Italia 57 anni più tardi, avente una sua peculiarità, una sua pluralità di lingue, d'identità, di culture, nel suo essere marginale, nel suo essere terra di confine, il punto di vista da cui si pone l'osservazione sia sull'identità nazionale sia sull'unità non può che essere plurale. E soprattutto in un momento dove fondamentale è l'educazione al cosmopolitismo, alla condivisione, il punto di vista non può che essere molteplice, in un'idea di confronto tra le diverse parti, in un'idea di relazione, italiana e europea, che tenga conto dalla dimensione globale.
Ecco dunque che qui non parliamo di unità ma di “connessioni”, ovvero di altri legami, ulteriori, più stretti, multiformi, più intimamente sentiti; e non parliamo di Italia, bensì più affettuosamente, e anche più concretamente, dello “stivale”.
La forma dello stivale sta infatti alla base della riflessione di 16 artisti goriziani e di territori limitrofi, che su questa forma, per certi versi pure bizzarra, hanno espresso le loro idee, le loro speranze, i loro dubbi, alla luce della contemporaneità, alla luce del concetto di unità oggi. Pensieri e riflessioni che hanno portato a risultati molto diversi, assumendo toni talvolta ironici, talvolta disillusi se non addirittura severamente critici, ma sempre e comunque “appassionati”.
Perché l'arte è un'“espressione appassionata, simpatica, poetizzata dell’ideale, come l’umanità lo concepisce, lo intuisce, o lo desidera”, come scriveva Giuseppe Mazzini, del quale senz'altro molti conoscono la statura di patriota, quella del politico e del filosofo, sicuramente meno i suoi pensieri intorno all'arte.
E' molto interessante invece il suo saggio intitolato “La peinture moderne en Italie” pubblicato negli anni del suo esilio a Londra su una prestigiosa rivista inglese, la “London and Westminster Review” del 1841. Trattando del Romanticismo come un'arte nazionale e popolare, viene ad affermare, tra l'altro, che l'artista, il “grande artista”, è “storico o profeta”....
Un po' storici e un po' profeti credo possano essere considerati anche questi 16 artisti che hanno affrontato il tema comune dell'unità d'Italia, coniugandolo alla loro personale sensibilità, ponendo uno sguardo verso il passato, ancora una volta comune e personale, e cercando di analizzare il nostro presente, da diversi punti di vista, sotto diversi aspetti, per individuare un probabile o soltanto possibile futuro.
Alessandra Ghiraldelli del tricolore ha selezionato il rosso, un rosso sangue, un rosso passione, per dare vita alla sua “Italia Rossa”. Ogni singola regione viene progressivamente “cucita” insieme alle altre, seguendo il percorso legato all'esperienza individuale dell'artista, relativamente alla conoscenza della propria nazione. Come fosse un fragilissimo puzzle o una personalissima tela di Penelope, l'operazione, nel suo farsi, necessita di una continua attenzione affinché i pezzi, o i fili, non si disperdano o si confondano, affinché i legami non smettano di avere un senso e di esserci.
All'opposto fa Claudio Mrakic che con il colore bianco cancella l'“Italia” dall'Europa: la meticolosità e la pazienza del processo di cancellazione, che avviene mediante una sovrascrittura di numeri, segni, parole, non può non sottendere un sincero desiderio di far tabula rasa da cui, tuttavia, poter poi ripartire, ricominciare, ricostruire. Dall'immagine finale, per certi versi anche molto poetica con l'idea del Mediterraneo che giunge ad accogliere e confondere la nostra nazione, si può solo attendere una riapparizione, una nuova Italia che rinasca quale nuova Venere, dalle spume delle onde del mare.
La “Mappa visionaria” di Paola Gasparotto rischia di incantare in maniera quasi ipnotica chi guarda, come una sorta di mandala che trasforma in immagine iconica la forma della penisola italiana e in simboli archetipici i vari elementi naturali. E' proprio l'aspetto di icona dalla magica fissità, che rende indubitabile ciò che vi è rappresentato, conferendogli un valore che va al di là dello spazio e del tempo consueti, nostri, per approdare in una dimensione sospesa, ammaliante, carica di suggestioni.
A confondere le acque e le regioni d'Italia gioca invece Silvia Klainscek, nello stupore della constatazione che lo sperone, il tacco, la punta, le due isole maggiori e le altre parti dell'Italia risultino facilmente interscambiabili con le altre regioni. Questo è ciò che avviene infatti nei suoi “Arcipelaghi in forma di stivale”: in parte puro divertissement, in parte occasione di riflessione sull'importanza della forma e della sostanza, sul valore dell'unità dell'insieme, a prescindere dalle singole peculiarità e individualità.
Un'immagine che appare e scompare, creata dalla luce, in mezzo ad una natura vaga, seducente e inquieta, è quella dell'Italia delle immagini fotografiche intitolate “Rievoluzione” di Franco Spanò, nate dalla fascinazione della ricchezza narrativa del libro “I profeti e i re” di Tabari e dalla rilettura della nostra costituzione. Qui analisi storica e anelito profetico si mescolano sovrapponendosi a creare un racconto che inizia dall'idea di un Eden luminoso, prosegue attraverso la volontà di costruire una struttura, per giungere infine alla necessità di un ritorno alla natura: in un desiderio di rinascita e di rigenerazione.
Nika Šimak sembra voler suggerire un'idea del tricolore e dell'Italia che vada rinnovata, rinfrescata da una corrente pura e trasparente in cui i confini della penisola ritagliata al suo interno, appaiono più flessibili, adattabili, tutto sommato relativi. Parallelamente l'artista ha ideato un'altra opera in cui prevale il concetto di unità come legame, espresso con delle scarpe dai lacci tricolori, appese ad un filo. Il loro cammino, sotteso, ricorda il percorso della storia, e sembra ammiccare a Van Gogh, o a Sigalit Landau insieme.
Alle “Connessioni invisibili” è dedicata l'installazione di Damjan Komel, artista che già da qualche tempo nella sua opera riflette su questo tema. I 27 tasti sparsi, liberati dalla console di un computer, vengono raccolti su una tavola rotonda, decorata con delle stelle che potrebbero essere quelle della bandiera europea. Uno dei tasti ha la sagoma dello stivale al posto del segno grafico consueto; tutti sono fatti di polistirolo e ricoperti si briciole di pane: struttura e sovrastruttura, artificiosità e naturalità, legami in rete invisibili e possibili, che richiedono un confronto più diretto, più vero e più sincero, urgente.
In una dimensione europea si proietta pure il lavoro di Lara Steffe, il cui titolo è volutamente proposto in lingua inglese: “Into my mind”. I pensieri dell'artista si riflettono in un'Italia trasformata in uno stato di effervescenza, tagliata a metà, con il Sud che occupa la parte superiore e il Nord quella inferiore, a testimonianza, di una confusione, di un “equilibrio instabile”, di un'unità insufficiente, non bastante a se stessa. Forse per questo la figura che sta in alto, metafora dell'ideale, della tensione del pensiero, appare proiettata altrove, alla ricerca di riferimenti più certi, sicuri, più ampi.
Che a tenerla unita questa “Italia 2011” ci voglia la forza e la volontà dell'ottimismo e della ragione ce lo dice Lia del Buono offrendoci un'immagine vera, concreta, reale dello “stivale” quanto vero e concreto è il materiale scelto per l'opera: la juta. Una corda, spessa, lo tiene unito: è l'idea della forza, della volontà, l'idea che la forma, lo stato esistente da soli non bastano; c'è bisogno di una partecipazione diretta, di una presa di posizione chiara; c'è bisogno di credere in un legame tanto resistente quanto lineare, semplice, essenziale.
E all'Italia come un qualcosa di cui ci dobbiamo riappropriare nel modo più semplice e immediato, pensa Paolo Figar che nella sua opera invita a voltare pagina, come si cambia canale alla televisione, come lo può fare un bambino, cercando ciò che è veramente interessante e veramente importante. Il titolo dell'opera, “Volumealto”, allude infatti al gesto del bambino che se ne sta in piedi, con la sua Italia portatile in una mano e il telecomando nell'altra, intento ad annullare l'immagine caotica della “Piccola geografia mediterranea” che gli sta difronte, per dar voce ad un altro possibile scenario.
Alessio Russo immerge un'Italia appena riconoscibile in un vortice di colori, in un fantasmagorico universo fatto di segni forti e contrastanti, in un mare di banane, in un mondo che unisce e confonde “Gorizia – Nova Gorica - New Dehli”. L'immagine dello Stivale si confronta con quella di Ganesha, la Divinità Indu col viso elefantino. La testa d'elefante è simbolo benaugurante di forza e di coraggio intellettuale, il fiore di loto che spesso l'accompagna, simboleggia la più alta meta dell'evoluzione umana. A tale divinità si attribuisce la capacità di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.
Alla nostra più illustre tradizione letteraria si richiama invece Stefano Ornella nella sua opera intitolata “Purgatorio 76, Italia politica” in cui riattualizza i celebri versi di Dante: “ Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello!”. Le parole (ancora una volta storiche e profetiche insieme) paiono infrangersi sulle coste della penisola, paiono minacciarne la sua stessa esistenza, prendendo corpo nelle immagini poste a lato che accentuano il senso di decadenza, di assenza di una guida, di un riferimento.
Sullo stesso tenore si pone l'opera di Francesco Imbimbo, “Pizza connections”, che descrive un'Italia che non c'è più perché divorata dal debito pubblico, umiliata dai suoi storici mali, dalla corruzione, dalla mafia, nei suoi valori più veri. La bandiera agitata dal vento non garrisce sulla cima di un'asta ma si trova ad occupare il posto di una tovaglia, dove i resti di una pizza, triste metafora dell'italianità, rappresentano ciò che rimane su cui poter riflettere, per cercare di cogliere ancora un senso, una ragione.
L'“Italia prospettica” di Angelo Simonetti propone uno sguardo verso l'interno che è insieme un affondo storico e un invito a guardare le cose più in profondità. Lo spettatore è invitato a riflettere sul cammino, lungo, faticoso, travagliato dei diversi territori italiani verso l'Unità, interpretando lo spazio come tempo, la profondità prospettica come sequenza cronologica. Lo sguardo procede dall'esterno verso l'interno e dal fondo verso la superficie, facendo emergere la forma dell'Italia quale risultato finale di una conquista da non poter sottovalutare, in un certo senso, imprescindibile.
Una sollecitazione positiva all'unità pare venir suggerita anche da Roberto Merotto nella sua “Italia”, una scultura caratterizzata da spinte dinamiche, linee flessuose e melodiche, al tempo stesso continue e divise. Diviso appare lo Stivale rispetto alle sue isole maggiori, mentre continuo è il ritmo plastico dell'opera che procede in forma prevalentemente ascendente seppur interrotto qua e là da stacchi complementari, per certi versi imprevedibili, comunque necessari: come un controcanto che giunge a sottolineare il tema principale.
Infine una storia immaginaria è quella raccontata da Ivan Crico dove protagonista è un fantomatico dinosauro, l'“Italicus Saurus” le cui zampe hanno lasciato delle orme, di recente riscoperte, che ricordano in modo sconcertante la forma del nostro paese. L'insieme può alludere alla “fossilizzazione” di alcune questioni difficili da affrontare, o alle stratificazioni di un passato mai indagato e conosciuto fino in fondo; ma può far anche pensare ad una storia da riscoprire, ponendo attenzione ai suoi più inediti risvolti, nei mobili riflessi di un cielo che continua a rispecchiarvisi, tra la luce del sole e l'ombra delle nuvole.

Franca Marri

Ivan Crico: "Skull and Japanese flowers"

Presentazione in anteprima, nello storico Caffè Carducci di Monfalcone (GO), dell'opera "Skull and japanese flowers" di Ivan Crico. A cura del giornalista de "Il Piccolo" Paolo Posarelli" e di Paolo Maritani. Presentazione critica di Silvio Cumpeta con la partecipazione del gruppo di musica contemporanea "Le Voci Inconsuete". 11 gennaio 2011-12 gennaio 2012.



"Le voci inconsuete"


Con il critico Silvio Cumpeta


Con l'Assessore alla Cultura di Monfalcone Paola Benes


Davanti all'opera "Martyre"



Con il critico Silvio Cumpeta ed il curatore Paolo Posarelli

martedì 23 novembre 2010

"De arzènt zù" di Ivan Crico si aggiudica il Premio Percoto



Dopo aver vinto lo scorso anno il "Premio Nazionale di Poesia Biagio Marin" (considerato il più importante premio dedicato alla poesia nei vari idiomi locali italiani), il libro di Ivan Crico "De arzènt zù" ottiene un altro prestigioso riconoscimento.
Assieme all'opera "Samartin" del poeta Giacomo Vit, quest'opera così particolare - recensita di recente anche da Franco Loi sulle pagine de "Il Sole 24 Ore - si è aggiudicata il primo premio ex aequo in questo concorso che, nel corso degli anni, è diventato il maggior premio dedicato ad opere scritte in lingua friulana, anche grazie ad una giuria composta da autorevoli nomi della letteratura e della critica, da Paolo Maurensig a Mario Turello. "De arzènt zù" parte dagli studi di Crico, cultore dell'idioma bisiaco, sull'antica parlata tergestina, oggi estinta, e di cui nella parlata bisiaca sopravvivono alcune preziose reliquie.
Saranno consegnati dunque l’11 dicembre, alle 17.30, all’Antico Foledor Boschetti della Torre di Manzano, i premi ai vincitori della 5° edizione del Premio letterario biennale “Caterina Percoto” dedicata alla poesia. Il concorso è organizzato e promosso dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Manzano in onore della celebre scrittrice manzanese Caterina Percoto - alla quale è stata intitolata la Biblioteca Comunale di Manzano - e per valorizzare la produzione letteraria del Friuli storico. Un evento che si conferma di rilievo per la produzione letteraria contemporanea: ogni edizione, infatti, raccoglie sempre numerosi iscritti, tra cui anche scrittori e poeti noti a livello nazionale. Alla cerimonia interverranno la presidente del Club Unesco di Udine, Renata Capria D'Aronco, che tratterà del tema della poesia femminile contemporanea e gli attori dell'Accademia teatrale Nico Pepe di Udine, i quali interpreteranno la poesia in una “mise en espace”, accompagnandola con “suggestioni” visive ed uditive. Infine, alla presenza delle autorità e dei componenti della giuria, presieduta dal prof. Mario Turello, verranno consegnati i premi ai vincitori nelle rispettive categorie, che sono per la sezione poesia in lingua italiana Franco Romano Falzari, 1° premio con “Battaglie”, il 2° classificato è Francesco Tomada con “A ogni cosa il suo nome”. Per la sezione poesia in lingua friulana hanno vinto ex aequo a Ivan Crico con “De Arzènt zù" e a Giacomo Vit con “Sanmartin”; il 2° premio se lo è aggiudicato Lucina Dorigo con “In Venas di ingjustri” mentre è stato segnalato Enzo Driussi con l’opera “Peraulis tasudis”. Infine la segnalazione per il premio speciale, che è andato a Marco Floreani per il suo “In ponte di pîts”. Per informazioni: Biblioteca Comunale “Caterina Percoto”, Piazza della Repubblica 25, Manzano. Tel. 0432 -754617, biblioteca@comune.manzano.ud.it Rosalba Tello.

martedì 9 novembre 2010

Ivan Crico Official Website


Segnalo qui il mio nuovo sito. Basta cliccare sul titolo. Opere, notizie sul mio lavoro (ancora in allestimento ma già consultabile).

martedì 26 ottobre 2010

Franco Loi sull'ultimo libro di Ivan Crico



Senti come suona bene il bisiac

di Franco Loi


"La lingua che i poeti si fingono e modellano è sempre inaudita e come tale stupisce, sollecitando emozioni nuove, e dissolve confini, aprendo orizzonti impensati a ogni intelligenza sensibile all'avventuroso mistero del vivere" scrive Gianfranco Scialino nella prefazione al nuovo libro di Ivan Crico, De arzent zù (D'argento scomparso), raccolta di poesie in tergestino, lingua ormai scomparsa che attraverso Trieste legava il Friuli a parte dell'Istria e di cui oggi ancora rimangono alcune "tracce preziose, miracolosamente sopravissute", nel bisiac del Goriziano, e il critico fa bene a precisare: " Una arcaicità non sterilmente filologica e lessicografica, ma coincidente quasi con una appropriazione dell'essenza delle cose".
Tanto più che il bisiac è la lingua naturale di questo poeta che nel 1997 ha pubblicato Piture a cura di Giovanni Tesio, nel 2003 Maitàni con prefazione di Antonella Anedda e nel 2006 Ostane a cura di Mariuccia Coretti. Ivan Crico, che è anche pittore e disegnatore di valore, ha una straordinaria capacità di captare, attraverso i suoni, la bellezza di un paesaggio, fin quasi a sfiorare odori e colori della stagione e persino il fremere di alberi e petali di fiori: " Uàrla inlò in tiàra, dauànt l'ultima / ciàsa de chelis dola che una uolta / in tol uod l'umièr col sòuo pùngol / al butèua drènto òu de fred, la fuèja / muarta, la scuàrza che aimò la se fau / plùi scura, e fora de chei tai el uem / un sug fis de dì che no se ued. (Vedi là in terra, davanti all'ultima / casa di quelle dove un tempo / nel vuoto l'inverno col suo aculeo / deponeva uova di gelo, le foglie / morte, la scorza che ora / si scurisce, e fuori da quei tagli fuoriuscire / un umore denso di giorni che si tenevano nascosti) ".
Una vocalità che dà a questa descrizione un andamento arioso, quasi uno sfarsi della natura nel movimento misterioso dell'autunno che trascorre.
Ma non solo di questo si parla nei versi del pittore-poeta. Lo sparire di un mondo è anche segno e presagio del morire dell'uomo: " Ma inlò no xe nissùm mont, arbòi / dolache per l’òglo ciatà repòs. Sempre / auk che mància, imfrà el rìde zouèna / po, debòt, la fàza de cùi ch’el n’au / lassàdi. Com prèst desmientegà. Fora / de dut ciatarse senza nissùm. Uèner / un pumt de clar inciantà in tòl negro /fred, negra aria de noiàltri im flor. (Ma là non c’è nessun monte, alberi / dove per l’occhio trovare riposo. Sempre / qualcosa che manca, tra il riso giovane / poi, all’improvviso, il volto di chi ci ha / lasciati. Quanto presto dimenticato. Fuori / da tutto ritrovarsi senza nessuno. Venere / un punto di luce ferma nel nero / freddo, nera aria di noi fiorita)". Ma nel paesaggio delle morenti vegetazioni all'uomo ecco che un fiato di speranza, "una luce ferma nel nero", viene improvvisa a mutare il lutto di quel "riso giovane" finito nel "volto di chi ci ha lasciati" in un risplendere di Venere, quasi un grido di rinascita.
E tuttavia, come sempre, mi spiace non far sentire al lettore la sciolta maestria con cui queste cose sono dette, quel suo vocalico trasalire nella descrizione delle cose e dei sentimenti e dei pensieri che sempre si muovono nel dire di Crico quasi da far da contraltare al silenzio della natura. Ma spero di aver incuriosito chi sa ascoltare.

da "Il Sole 24 Ore", domenica 24 ottobre 2010, p. 30, n.292

giovedì 15 luglio 2010

La cantante Elisa: "La passione per la poesia di Ivan Crico"


Elisa davanti ad un dipinto di Ivan Crico nello studio nel Castello De Bona Urbanis



L'INTERVISTA, da "Il Messaggero Veneto, 14 luglio 2010"

Elisa: "Aiuterò i nostri talenti a sbocciare"

La cantante monfalconese ci racconta il suo ritorno in Friuli Venezia Giulia, sabato in piazza Unità a Trieste, e sogna una 'palestra' di musica per i giovani. L’attenzione per le band emergenti Breakfast e Jade e la passione per la poesia di Ivan Crico. Il tour: "Amo le piazze, stare fra la gente. Mia figlia è sempre con me, sono felice"
di Nicola Cossar

Elisa «La mia terra è speciale. Qui ci sono tanti artisti, giovani e bravi, che si propongono con spontaneità e con idee buone; sono poco omologati e poco conformisti, hanno un’identità forte. Ti dirò che nutro da tempo un sogno: aprire un locale in Friuli per offrire ad almeno una parte di loro la possibilità di esprimersi dal vivo in un contesto giusto e importante. Se non è un locale, può essere un festival. Adesso non ho molto tempo, ma appena possibile ci penserò concretamente: voglio aiutare i giovani talenti della nostra regione a sbocciare». Parola di Elisa.

Elisa ieri era in pullman verso Milano, per aprire la parte estiva del suo Heart Tour che sabato la riporterà a casa: si esibirà nella stupenda piazza Unità d’Italia a Trieste. Nonostante i preparativi, la grande artista monfalconese trova, tra una galleria e l’altra, il tempo per un’amabile conversazione, rigorosamente e simpaticamente in bisiaco: «Sono in pullman – attacca –, ma è un pullman tutto per me e con tutto quello che serve per stare bene anche con questo caldo. Sto andando all’Arena per il primo concerto».

«La picia la xe con ti?», domandiamo in madrelingua. Elisa risponde sorridendo: «Sì, Emma è con me, buona e tranquilla. C’è anche la mia mamma, siamo felici e rilassati, pronti ad una nuova importante prova per me».

– Questa parte del tour è molto diversa da quella nei palazzetti partita da Conegliano, vero?
«Sì, quella aveva tante cose extra-musicali, come i ballerini e molte immagini, una scelta di spettacolo complicata, legata un po’ all’acustica non felice dei palasport: uno show diverso per compensare in qualche modo quelle carenze. Tuttavia, è stata una bella esperienza, anche se ho un rammarico: mi dispiace che i biglietti siano costati troppo; sai che non ho mai voluto che costasse tanto venire ai miei concerti. Comunque, ora si cambia registro, si va nelle piazze e nelle arene, si torna alla dimensione che più ci appartiene: io, il mio gruppo e la musica su un palco più piccolo ma più adatto al concerto. Ci sarà qualche ripresa video perché tutti possano vedere bene, ma la musica, e solo la musica, sarà al centro dello spettacolo».

– Finalmente torni a casa?
«Hai ragione, sono stata poco a casa negli ultimi anni. Ma i posti in Friuli in cui ho cantato sono stati sempre magnifici: per esempio, la splendida villa Manin. E sabato sarò in piazza Unità a Trieste, una delle più belle d’Europa. Sì, sarà un’altra serata speciale ed emozionante!».

– Elisa, tu sei sempre stata attenta a quanto accade nella tua terra, soprattutto in campo musicale. Come vedi la situazione oggi?
«È una scena che si muove molto, diversa, originale, poco omologata. Mi è sempre piaciuta. Se vuoi dei nomi, ti faccio quello di Giorgio Pacorig, già mio tastierista e oggi lanciatissimo nel free jazz. E poi i Breakfast, i Jade e un gruppo di ragazzi triestini di cui non ricordo il nome e che ho visto su Mtv. Ma non solo musica: io amo molto la poesia e uno dei miei migliori amici è Ivan Crico, che ha appena vinto un premio importante, il Malattia della Vallata».

– Da qui l’idea di aiutare questa scena?
«È un mio sogno. Ora ho altre cose e poco tempo, ma sto pensando di aprire un locale in Friuli o magari di organizzare un festival. Non sarà subito, però cercherà di aiutare i nostri giovani».

– Nel tuo futuro, a ottobre, c’è l’America....
«È una cosa piccola. Terremo due concerti a un festival italiano. Ovviamente ci andiamo volentierissimo».

– Modugno, la Pfm. Altri non hanno sfondato in America. Tu ci pensi?
«A quelli che hanno sfondato, fatte le debite proporzioni, ci aggiungerei il metal dei Lacuna Coil, anche per restare in tempi più vicini a noi. Da parte mia, un po’ di successo l’ho avuto con Dancing. E poi Eros e la Pausini vanno alla grande in Sudamerica. Non nego che sarebbe bello sfondare negli States, ma per riuscirci devi avere una grande squadra, affiatata e tutta composta da numeri 1, sul piano artistico e su quello tecnico e organizzativo: una squadra che sappia lottare. E non basta, perché ci vuole sempre anche un po’ di fortuna. Però ti dirò che in America hanno un’idea molto diversa dalla mia sulla musica italiana».

– Dici che hanno idee sorpassate?
«Non dico sorpassate, ma poco aggiornate sì. Pensano alla musica italiana come espressione folcloristica, non moderna. La Pfm resta una bellissima eccezione. È un mondo ancora troppo lontano e allora vedi che per me l’America non è un problema o un obiettivo immediato. Vado per la mia strada». Con successo, come ha confermato il concerto di eri sera a Milano. L’ennesimo trionfo per Elisa, il nostro orgoglio.

(Alcuni commenti:

"Penso che se arrivi al punto di essere sincero, se arrivi a raggiungere un equilibrio di sincerità, umiltà e coscienza, necessariamente crei qualcosa che ti appartiene. Che appartiene più a te che al mondo. È lì che vorrei arrivare." QUESTA è già musica!!!!!!!!
di Sciretti Alberto su Intervista alla cantante Elisa di Ivan Crico il 16/09/10

peccato aver letto quest'intervista solo ora...ero sicura che Elisa s'interessasse anche di arte. Le sue parole, la sua voce spesso assomigliano a colori e immagini distinte. Grazie per averla postata!
di gio su Intervista alla cantante Elisa di Ivan Crico il 31/08/10

è solo e semplicemnte GRANDIOSA ! Blumy
di Blumy su Oh flama, oh scûr: la poesia di Ida Vallerugo il 27/08/10).