Nell’immaginario di molti la Bisiacarìa appare come un territorio povero di monumenti e paesaggisticamente meno interessante rispetto ad altri luoghi della regione, ignorando che, prima delle devastazioni della prima Guerra Mondiale e degli scempi perpetrati tra Otto e Novecento dall’industrializzazione del territorio, questa zona era ben diversa da come si presenta oggi. Gli storici di un tempo, anzi, hanno sempre descritto queste terre come dei luoghi unici per la loro bellezza in tutta la regione. Basti pensare che Monfalcone, alla pari di città come Venzone, era ancora nella prima metà dell’Ottocento una città circondata da mura merlate di epoca medioevale, con tanto di porte e fossato. Se non fossero state rase al suolo, per rendere più “moderna” la città, oggi probabilmente persone da tutto il mondo avrebbero un motivo in più per visitarla.
Sono cose che molti monfalconesi, non solo tra i più giovani, ignorano del tutto. Quanti sanno ad esempio che, nella zona antistante le Terme Romane, esisteva una collinetta dove sorgeva una chiesa dedicata a Sant’Antonio? Eppure in questa chiesa per secoli i pescatori di Monfalcone si raccomandavano al santo prima di uscire in mare aperto e qui i contadini portavano a benedire i propri animali. In questa collinetta c’era anche una grotta, chiamata la “gaverna del diau zot”, “la caverna del diavolo zoppo”, un luogo magico da cui è nata anche una bellissima leggenda bisiaca. Purtroppo, anche in questo caso, la chiesa fu distrutta dai bombardamenti mentre la collinetta venne assurdamente spianata per favorire gli impianti industriali che dovevano sorgere nella zona del Lisert.
Sempre andando verso Monfalcone, come scriveva Silvio Domini, “dopo aver lasciato alle spalle il cimitero di Ronchi, in località “San Polet”, si è costretti spesso a fermarsi davanti alle sbarre chiuse del passaggio a livello della ferrovia Monfalcone- Cervignano- Mestre. Proprio lì, sul lato sinistro della statale, una serpeggiante stradina bianca porta in direzione dei bassi rilievi del Carso e si perde, un centinaio di metri più avanti, tra ferrovia e canale d’irrigazione in un verde campiello che ha alla sua destra un rialzamento del terreno, dove si erge un breve tratto di muro perimetrale, che presenta ancora l’occhio di una medioevale finestrella: è l’unico segno rimastoci di una delle più antiche e caratteristiche chiese del nostro Territorio”: la chiesa di San Poletto. Non siamo in possesso ancora della documentazione relativa alla costruzione del nuovo sottopasso, vorremmo però fin da ora comunque segnalare alle autorità e alla popolazione che sarebbe un peccato perdere questa ultima e ignorata reliquia di una chiesa un tempo molto cara agli abitanti del luogo e che era ornata da splendidi affreschi realizzati da Nicolò Cumin nella seconda metà del Cinquecento.
L’Associazione Culturale Bisiaca vorrebbe quindi sollecitare il Comune di Monfalcone, in vista anche degli importanti lavori che si stanno eseguendo per valorizzare la città, di apporre in questi luoghi privi di ogni segnalazione dei cartelli che indichino dove sorgevano queste chiese, descrivendo com’erano fatte, riportando la foto degli edifici e delle opere d’arte che li ornavano, per restituire almeno in questo modo, l’unico possibile, alla comunità la memoria di questi antichi luoghi di culto. La nostra Associazione dà ovviamente da subito la disponibilità a fornire tutti i documenti a nostra disposizione e le informazioni necessarie.
Vorremmo, spingendoci ancor oltre, proporre agli amministratori locali, alle autorità ecclesiastiche e a tutti i monfalconesi, un’altra idea: non si potrebbero costruire in questi luoghi dei capitelli dedicati a questi santi, delle “anconete” come vengono chiamate nel nostro dialetto, che potrebbero diventare nuovamemente (per la gente del posto ma anche per i molti turisti che visiteranno in futuro queste zone) dei luoghi di pace e raccoglimento come lo sono stati un tempo le due chiese distrutte dalla violenza della guerra? Si tratterebbe di un minimo investimento che, crediamo, sarebbe di certo accolto con entusiasmo da tutte le genti del monfalconese. É forse solo un sogno? Comunque sarebbe anche questo un modo per opporre al deserto della devastazione, della guerra che tutto cancella, un segno di speranza nel futuro .
Ivan Crico
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