domenica 5 ottobre 2008

Dell'inglese e d'altre lingue

Inglese e parlate locali


In questi giorni è stata lanciata da alcuni autorevoli esponenti del mondo politico locale la proposta di varare una legge regionale per salvaguardare alcune parlate del FVG, dal triestino al bisiaco, dal gradese al maranese alle parlate venete del pordenonese. Immediatamente, com'era accaduto anche nei confronti del friulano, alcuni commentatori nei vari blog si sono chiesti quale utilità pratica possa aver oggi, riferendoci ad un contesto internazionale, la scelta di trasmettere alle future generazioni la conoscenza di queste lingue regionali. Non sarebbe meglio - si dice - insegnare di più l'inglese, o il cinese o lo spagnolo, le lingue impiegate nelle grandi multinazionali, piuttosto che perdere tempo con queste cose? Obiezioni e timori giustificati solo se diamo per buona l'idea che vale la pena di essere appreso soltanto ciò da cui possiamo trarre degli immediati vantaggi materiali. Altrimenti che senso ha studiare a scuola (come si fa in tutta Italia) le poesie barocche del nostro illustre corregionale Ciro di Pers o quelle del Carducci? Non saranno di certo queste letture a permetterci di creare nuove industrie od aumentare la vendita di prosciutti in Cina. Eppure nessuna persona assennata (spero!) si sognerebbe di chiedere di espellere questi autori dai programmi scolastici. Soltanto conoscendo profondamente la nostra storia anche nei suoi aspetti apparentemente più umili e trascurati, come ci è stato insegnato dai più grandi studiosi del Novecento, possiamo immaginare di muoverci con consapevolezza verso il futuro e, con altrettanta consapevolezza, rapportarci con le genti ed i mercati più lontani. Altrimenti, nelle nostre scelte di ogni giorno, rischiamo inconsapevolmente di ripetere gli stessi errori compiuti da coloro che ci hanno preceduto; o di non comprendere, ed è forse ancor più grave, il valore di ciò che i nostri avi ci hanno lasciato in eredità. Un'eredità che non è non fatta soltanto di soldi, case o altri beni materiali, ma un'eredità di conoscenze maturate nel corso dei secoli, di capacità di sviluppare e realizzare nel modo migliore i nostri progetti: quel bagaglio straordinario di sensibilità e di visioni del mondo, cioè, che ha reso noti gli italiani ovunque nel mondo. È, paradossalmente, nella nostra frammentazione - fatta di migliaia di tipi di prodotti enogastronomici, diverse tradizioni artigianali, musiche, costumi ed anche diversi linguaggi - che possiamo ricercare la nostra vera forza. Ad un mondo che alcuni vorrebbero globalizzato, standardizzato, monocorde, noi abitanti di queste terre possiamo rispondere opponendo la straordinaria ricchezza dei nostri mille colori, suoni, profumi. Ricchezza che ovviamente, se ben sfruttata, può tradursi anche in ricchezza monetaria, perchè no? La conoscenza, necessaria certamente, dell'inglese o di altre lingue commerciali più diffuse globalmente, allora diventerà anche una possibilità in più per far conoscere - con le relative soddisfazioni economiche connesse - questa nostra ricchezza al resto dell'Europa e del mondo.
Mi sembra allora che sia molto ingiusto dire: se vogliamo essere moderni dobbiamo imparare l'inglese, lo spagnolo o il cinese perché il friulano, il triestino, il bisiaco, il gradese, il resiano ecc. non sono altro che delle palle al piede. Questi linguaggi ci parlano, invece della nostra storia, ed anche di quella della nostra bellissima lingua italiana, così intimamente legata nei suoi sviluppi alle nostre parlate regionali. Noi dobbiamo poter avere la possibilità - con il sostegno illuminato delle istituzioni è chiaro - di continuare ad impiegare nel futuro il friulano e l'inglese, lo spagnolo ed il triestino, il bisiaco ed il cinese. Sono cose che possono tranquillamente convivere e che, sfatando un vecchio pregiudizio, non creano davvero alcun impedimento dal punto di vista lavorativo. Potrei fare altri mille esempi, parlando di professori universitari, manager di altissimo livello, ma qui in regione abbiamo un caso davvero eclatante e da me più volte citato: Elisa, la cantante di Monfalcone vincitrice del Festival di Sanremo, che fin da giovanissima parla, scrive e canta perfettamente in inglese senza mai dimenticare, impiegandola a volte anche nelle proprie interviste, la nativa parlata bisiaca a cui è molto affezionata. Dobbiamo dunque poter mantenere ciò che ci hanno tramandato i nostri avi e, insieme, acquisire nuove conoscenze linguistiche e culturali. Questa io chiamo vera ricchezza: aggiungere sempre altre cose a quelle che già si hanno.
Uno degli obiettivi dei nostri amministratori nel prossimo futuro, dunque, dovrebbe essere quello di riuscire finalmente a salvaguardare e valorizzare in toto questo nostro straordinario patrimonio linguistico. Un patrimonio non solo nostro, ma di tutto il nostro Paese. Mi sembra piuttosto emblematico, in fine, il fatto che in tutte le maggiori antologie della poesia italiana, ben tre dei quattro autori selezionati che hanno operato nel Friuli Venezia Giulia non hanno scritto le loro poesie solo in italiano ma anche in friulano (Pasolini), gradese (Marin) e triestino (Giotti). Un altro segno della particolarità e della ricchezza, che non dobbiamo disperdere, di queste terre davvero uniche, dove oriente ed occidente da sempre si incontrano.

Ivan Crico

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