martedì 9 giugno 2009

Fra Collio e Grado alla ricerca di paesaggi e poeti


Messaggero Veneto — 01 giugno 2009
pagina 18 sezione: CULTURA - SPETTACOLO

di PAOLO MEDEOSSI


Il remo colpisce l’acqua con una carezza energica e il canotto scivola via sull’onda mentre un delfino solca frenetico il mare in lontananza, accompagnato da un gabbiano pigro. Immagini incollate nella memoria, ricordo di un ambiente puro, incontaminato. Fine anni Sessanta, prima delle grandi trasformazioni, prima del continuo peggioramento. Eppure questo paesaggio resiste in qualche modo e rimane ancora lì, sospeso fra sogno e realtà, in certi tramonti sotto le sferzate della bora, favorendo i viaggi nella fantasia e nella poesia, come accade ora ad Hans Kitzmüller che a questo mondo dedica un libro bellissimo, per fare il punto, per svelare personaggi e luoghi. E per rimettersi in cammino. I romanzi d’avventura intellettuale sono fatti per tale motivo: accendono il desiderio e scrollano di dosso ogni torpore. In questo caso non si tratta di andare sette anni in Tibet per ritrovare una dimensione più spirituale di se stessi, ma basta andare sette ore nel Goriziano, un territorio piccolo, raccolto, segnato dalle vicende di una frontiera difficile e anche tragica, sempre però affascinante nei suoi risvolti meno noti. Lo si attraversa in un baleno. In autostrada, da Palmanova al Lisert, è una corsa di pochi minuti. Ecco fatto, una volta arrivati al casello sotto il ponte ferroviario ad archi, l’Isontino è già alle spalle. Guardandolo dal mare, al largo di Duino, lo si abbraccia in un istante, dalle bocche del Timavo a Grado. Eppure in questi luoghi minuscoli, dove ogni lembo è ravvicinato e a portata di mano, è possibile vivere sensazioni e incontri sorprendenti, come quelli narrati da Kitzmüller in un libro che promette già bene dal titolo, il fascinoso E in lontananza Gorizia , perché fa capire come il discorso alla fine ruoti attorno alla città, che se ne sta lì appartata, silenziosa, quasi raggomitolata all’ombra del suo castello e della sua storia. Il volume (210 pagine, 20 euro) è uscito non a caso per una collana della Libreria editrice goriziana, che continua così nella intelligente opera di ricerca e perlustrazione, capace di fornire autentiche chicche con ristampe, che evocano il clima d’un certo passato, oppure con opere nuove di zecca, come questa che raccoglie impressioni risalenti fino allo scorso inverno visto che la descrizione di certi posti, sotto l’incalzare della modernità consumistica, è molto attuale e aggiornata. L’autore chiarisce che non ha voluto proporre una guida turistica per la promozione dei luoghi, ma un diario con le emozioni che i territori trasmettono attraversandoli velocemente oppure osservandoli da fermo. Non si tratta di sensazioni private, soggettive, narrate con lirico trasporto, bensì di intuizioni che tutti possono condividere e far proprie, nella consapevolezza che in definitiva l’ambiente siamo pur sempre noi, con i mutamenti che subiamo e il nostro modo di pensare e vedere. Il racconto di un paesaggio può diventare così una grande storia, la sua lettura e interpretazione trasformarsi nell’avventurosa esplorazione di una porzione di spazio in una frazione di tempo. In tutto questo, l’approccio letterario è essenziale, non per sfoggio di saccenza, quanto invece per un dato naturale, evidente a tutti. Davanti allo scenario di Grado, a esempio, saltano fuori limpidi e necessari i versi di Biaseto Marin che – dice Kitzmüller – «sono la formulazione più efficace dell’esperienza fisica della luce, del cielo, di vele gonfie e afflosciate, delle onde del mare e dello sciacquio della laguna lungo le rive delle barene». Il racconto parte dalla pineta dove approdò San Marco, a due passi di Aquileia, e si sofferma a lungo in questa porzione di Friuli in cui il punto di riferimento diventa il campanile della basilica, «una matita di sassi che scrive nuvole con la sua punta di coppi», come poeticamente spiega il professor Emilio Rigatti ai suoi allievi mentre attraversano questi posti avendo ben presente la lezione leopardiana, secondo la quale l’uomo sensibile e immaginoso è destinato a vedere il mondo e gli oggetti doppi perché solo così potrà percepire il bello e il piacevole delle cose. A due passi c’è l’Isonzo, uno dei più bei fiumi d’Europa e la sua presenza evoca i versi di Celso Macor, scritti in sonziaco , misterioso aggettivo che indica una varietà del friulano, caratterizzato da una predilezione per la vocale “a”. Il viaggio nell’Isontino è infatti anche un’escursione in un patrimonio linguistico originalissimo che però si sta semplificando visto che, se gli sloveni sono perfettamente bilingui, i friulani lo sono ormai solo parzialmente. E ancora ci sono il bisiaco e il gradese, diffusi nelle loro aree. Dunque la provincia di Gorizia può essere definita multilingue, ma solo in minima parte plurilingue mentre dallo scenario è sparito il tedesco che un secolo fa era invece alla base della cultura del territorio. Peculiarità che veniva esemplificata in modo emblematico dall’identità culturale degli studenti dell’istituto goriziano più prestigioso, lo Staatgymnasium , tra i quali c’erano Alojz Gradnik, Otto von Leitgeb, Ervino Pocar, Biagio Marin, Carlo Michelstaedter. Una ricchezza sparita dopo la prima guerra mondiale, che lascia tracce solo in libri da riscoprire o in biografie straordinarie, come quella dell’attrice Nora Gregor. Il viaggio nel paesaggio del Goriziano non dimentica le devastanti trasformazioni causate dal fiorire di capannoni e centri commerciali, come accade a Villesse. «Siamo – dice Kitzmüller – di fronte a una distruzione definitiva a favore dell’effimero, una scelta che determina un uso del territorio dalle conseguenze irreversibili, che si accompagna a uno spreco incredibile di risorse. L’eccesso del gigantismo della grande distribuzione cancella la misura del necessario». Meglio tornare allora ai maitàni , i segnali di mare di cui parla Ivan Crico, poeta raffinato e colto che nella Bisiacaria è andato a recuperare parole preziose e dimenticate, dando loro vita e arte. I maitàni erano i pali di legno alla cui sommità venivano legate stoffe colorate, che servivano ai pescatori per raggiungere il largo senza insabbiarsi. Segnali insomma come annunci di presenze, di qualcosa che non vediamo, ma avvertiamo. Segnali come quelli lanciati da questo libro da leggere cammin facendo, fra il Carso e il litorale, fra il Collio e Grado, dove qualche anno fa c’era il bar Mimi. Una mezza trattoria in riva Dandolo da dove si osservava l’uscita delle barche e si ripensava ai paesaggi perduti o ritrovati. Al suo posto c’è ora un condominio.


Foto di Hans Kitzmuller realizzata da DANILO DI MARCO

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