mercoledì 5 novembre 2008

Intervista alla cantante Elisa di Ivan Crico


La cantante Elisa in visita nello studio di Ivan Crico


DI UN ALTRO MONDO CHE SI RIVELA
Intervista ad Elisa di Ivan Crico


La conversazione che segue è, per molti versi, un documento unico. Si tratta difatti di un'intervista alla cantante Elisa, registrata nella sua Monfalcone, nell'ormai lontano 1997. Qualche giorno prima aveva presentato, in una memorabile serata presso il locale Teatro Comunale, il suo primo album. Questa è dunque, molto probabilmente, una delle prime interviste di un certo respiro rilasciate da questa artista di statura internazionale ma, allora, quasi del tutto sconosciuta.
Un'altra particolarità di questo testo è che doveva, in origine, essere pubblicato non su una rivista di musica ma di poesia. Per cui le domande (senza preoccuparsi di risultare accattivanti per il grande pubblico) mirano invece a scavare in profondità all'interno dei processi creativi mentre, nelle risposte date da Elisa, già compaiono - con grande lucidità - molti temi che saranno poi ulteriormente meditati e sviluppati nei suoi lavori successivi.
Conobbi Elisa, quindicenne credo, quando presentò ad un festival locale un brano nella nostra parlata bisiaca. Mi avevano chiamato per dare alcuni consigli sul testo e rimasi molto colpito dalla voce e dall'energia che sprigionava da quella ragazzina che suonava, con foga, una chitarra resa ancor più grande dal contrasto con quella figura così esile e minuta. Provai lo stesso stupore che si prova quando, ascoltando un uccellino cantare, ci si domanda come possano - da un essere talmente piccolo - scaturire suoni così potenti, acuti, capaci di coprire immense distanze. Ci rincontrammo, alcuni anni dopo, pochi giorni prima del concerto a Monfalcone. Elisa non solo, come immaginavo, è diventata una grande artista nota in tutto il mondo ma si è rivelata anche una persona estremamente sensibile alle problematiche di tipo sociale. Nel corso degli anni, difatti, sempre con grande discrezione ha sostenuto diverse iniziative che, con amici, abbiamo promosso per offrire aiuto a giovani con problemi di disagio aiutando molto anche, in questi ultimi anni, l'Associazione "Il Focolare" che si propone di costruire una grande casa - nei pressi di Palmanova, in provincia di Udine - per accogliere bambini in affido.
L'intervista che segue, per problemi della rivista che doveva accoglierla, non è mai stata pubblicata. L'ho riscoperta qualche giorno fa, riordinando vecchie carte. Ecco, qui di seguito, il testo integrale.

Mercoledì, 8 ottobre 2008.




Domanda: Oggi, per molti nuovi autori, al momento di scrivere i propri testi, l'impiego della lingua italiana non sembra più una scelta così naturale e ovvia come poteva essere un tempo. Partita cantando e componendo, tra le altre cose, anche dei brani nella tua parlata nativa, approdando con "Pipes & Flowers" alla lingua inglese, anche il tuo lavoro sembra confermare questo sempre più frequente cambiamento di direzione.

Risposta: Se si crede in ciò che si fa, secondo me, è possibile cantare in qualsiasi lingua: l'essenziale è il messaggio più che il modo con cui lo si esprime. Anche se poi, ovviamente, è bello lavorare sui particolari, curando, raffinando la costruzione.

D. La scelta della lingua inglese rispetto alla lingua italiana, in ogni caso, da cosa si origina?

R. Ho provato più volte a scrivere in italiano ma non sono ancora soddisfatta dei risultati. Diciamo che con l'inglese è tutto più facile, avendo sempre ascoltato musicisti di quell'area. Riguardo a questo, comunque, ora come ora troverei più facile cantare in bisiaco piuttosto che in italiano, una parlata che ha comunque dei suoni più vicini allo spagnolo. Adesso, in ogni caso, con il tipo di musica che scrivo va molto bene l'inglese come suono. Ascolto da tanti anni musicisti e cantanti inglesi che credo di averne assorbite le cadenze, di aver preso più da quella cultura musicale che da quella italiana.
Si è rovesciato un po' tutto, insomma.

D. Da che cosa parti in genere, qual'è lo spunto, l'intuizione da cui prende avvio di solito il tuo lavoro di composizione?

R. Devo essere sempre sicura di ciò che sto facendo, innanzitutto. Poi ciò che ne risulta, alla fine, può essere più o meno chiaro, a volte voluto, cercato, a volte no. Di solito, comunque, il punto di partenza è un'immagine mentale da cui nasce un suono e un'espressione vocale legata ad un testo: un testo che descrive tutto un mondo, quindi, sempre interno. È difficile, in questo modo, essere sempre chiari, poiché sono cose molto piccole, queste che descrivo, molto leggere. Sfuggenti.

D. Ci sono, comunque, opere o autori che ti hanno maggiormente ispirata nel tuo lavoro?

R. Più che ispirazioni, secondo me, sono da intendersi come influenze, quelle che traiamo dalle letture, dai film, da ciò che sentiamo e vediamo. C'è sempre un'influenza: se fai un viaggio ti ritrovi a scrivere in un modo, se ritorni a casa ne impieghi un altro. Come un'anima camaleontica, che riesce a trovare il suo habitat un po' dovunque.
Per quanto riguarda gli autori, invece, credo di essere stata influenzata da Tori Amos. Una grande cantante, secondo me. Una grande musicista, che suona il piano in un modo unico.

D. Ci sono anche scrittori o poeti tra questi?

R. Un libro che ho letto di recente e che mi è piaciuto moltissimo è "Inquietudine d'amore" di Yukio Mishima. Sono rimasta molto colpita anche dalla lettura del volume di racconti "Eva luna racconta" della Allende, da molte cose di Hesse e, soprattutto, di Karen Blixen e Kipling. Amo molto anche le liriche che scriveva Morrison, il cantante dei Doors.

D. A proposito di scrittura, quando componi i tuoi pezzi sei solita scriverli di getto, o c'è anche una fase di rielaborazione, di limatura dei testi?

R. Ultimamente sto un po' cambiando modo di scrivere. Già con questo disco ci sono stati dei mutamenti. Credo sia un fattore di età, di nuove esperienze, che nasce da ciò che ti succede, da quello che assorbi. Penso di essere sempre rimasta uguale nel profondo, però di essere anche, comunque, un po' una spugna. In genere le cose che sento di più, nel tempo, sono quelle che arrivano in cinque minuti, tutto il pezzo, musica e testo, com'è successo per quest'album.
Scrivo tutto in cinque, sei minuti di solito.

D. Un affiorare improvviso di cose che si sono depositate, decantandosi, al nostro interno...

R. Credo che si tratti di qualcosa del genere; e, comunque, sono sempre queste cose molto semplici, molto piccole di cui ti dicevo prima, che mi attirano. Proprio quei particolari minimi che noti - purtroppo o per fortuna - solo per caso.

D. Nel tuo lavoro il testo può essere apprezzato anche da solo o ha sempre bisogno della musica per sorreggersi?

R. No, non sempre. Tantissimi testi erano, prima, delle poesie.

D. Quindi ti dedichi anche alla scrittura?

Ho scritto molte poesie e, per un periodo, anche una serie di racconti comici su tutti i viaggi che facevo. Scrivevo tutto, mettevo dentro ogni cosa, ma sempre in chiave ironica. Comunque non si trattava di vere e proprie storie, non racconto mai storie, soprattutto non parlo di altre persone: è un mondo, che è il mio ma è estraneo anche a me. in un certo senso, perché ciò che sono normalmente, nella vita quotidiana, non combacia con ciò che descrivo. Non si tratta però di uno sdoppiamento, ma di un altro mondo che si rivela. A volte passano dei mesi cercando di scrivere, perché sai che devi scrivere, ma al tempo stesso non puoi, perché è come se dovessi fare un lungo percorso, qualcosa di particolare per arrivarci. È faticoso, faticoso come tutto, come vivere scrivere.

D. Quali musiche ascolti?

R. In genere mi fisso molto, sulle musiche: se trovo qualcosa che mi piace l'ascolto e riascolto anche per anni, prima di passare a qualcosa d'altro. Non si tratta però di una scelta, semplicemente è qualcosa che accade.
In questo periodo ascolto principalmente musica attuale ma non necessariamente commerciale. Quindi sì Björk, Tori Amos, sì PJ Harvey, ma anche alcuni brani dei Depeche Mode in cui ci sono interessanti ricerche di suoni filtrati attraverso strumenti elettronici. Ma poi, ad esempio, anche i Verve, dove si trova questo connubio, molto forte, tra musica, testo e video. Apprezzo molto queste forme d'arte in cui vari aspetti si compenetrano e fondono assieme allo stesso tempo.

D. L'attenzione per l'immagine ritorna spesso nelle tue risposte. Sei interessata anche ad altre manifestazioni artistiche, come le arti figurative?

R. Oltre a comporre musica dipingo, mantenendo sempre lo stesso modo di esprimermi. Seguo un'immagine mentale, cerco di renderla il più possibilmente perfetta, a seconda di ciò che vedo; non succede mai per caso, non si tratta di uno sfogo, è qualcosa di molto inconscio, credo. Amo molto le espressioni di visi di esseri che non appartengono alla sfera dell'uomo, o al mondo animale, né lavoro su di un oggetto particolare. Diciamo che esce qualcosa che vive, secondo me, e devo dargli un'espressione.

D. Ne abbiamo accennato prima, ma pensi che ci saranno ulteriori cambiamenti con il tuo prossimo album?

R. Credo, come dicevo, che non sia cambiato poi molto nel mio modo di scrivere, soltanto devo concentrarmi di più, per forza, perché sento come molta più materia attaccata a me stessa e, allora, faccio molta più fatica per togliermela di dosso. Quindi ciò che faccio ne risente, anche se non so ancora se vedere in questo una maturazione, un regresso, o un cambiamento verso non so quale direzione.
È necessario, comunque, un alto livello di coscienza. Voglio essere sempre perfettamente cosciente di ciò che esce fuori, prima di portarlo alle altre persone.

D. Più in generale, verso dove allora si sta orientando, o vorresti che si orientasse, la nuova musica?

R. Credo che sia giunto il momento di essere un po' più estremisti. Di cercare un connubio tra una ricerca molto avanzata nello studio del suono, anche attraverso l'uso di nuove tecnologie, ed una ricerca interiore di essenzialità, nel tentativo di esprimere tutto in una sola nota, come se questa fosse l'ultima.
Di ritornare alla voce, senza strumenti.
Un canto che potrebbe vivere da solo, una specie di ninna nanna che poi muta, si trasforma con il supporto della tecnologia. Non bisogna, poi, preoccuparsi tanto del mercato. Della gente in genere.

D. La voce come punto di arrivo. Nudo ed immediato riverbero della nostra e altrui presenza nel mondo.

R. È la cosa che studio di più. Non sono una chitarrista. Non sono una pianista. Cerco, quindi, di fare uno studio approfondito, personale sulla voce, anche se oggi tutto si fa sempre più difficile, dato l'accumularsi di tutta la musica composta finora. Un bombardamento radiofonico, televisivo, che arriva da tutte le parti; i concerti poi, la musica ovunque e quindi, di conseguenza, una sempre maggiore difficoltà a trovare il proprio spazio dentro tutto questo.
Porto avanti, come dicevo, uno studio per cercare di essere il più personale possibile, ma non è che poi mi preoccupo più di tanto a rifare qualcosa che è già stato fatto. Penso che se arrivi al punto di essere sincero, se arrivi a raggiungere un equilibrio di sincerità, umiltà e coscienza, necessariamente crei qualcosa che ti appartiene. Che appartiene più a te che al mondo. È lì che vorrei arrivare.


(Nota: L'intervista può essere riprodotta con qualsiasi mezzo purché si citi sempre la fonte e l'autore)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

peccato aver letto quest'intervista solo ora...ero sicura che Elisa s'interessasse anche di arte. Le sue parole, la sua voce spesso assomigliano a colori e immagini distinte. Grazie per averla postata!

redazione ha detto...

"Penso che se arrivi al punto di essere sincero, se arrivi a raggiungere un equilibrio di sincerità, umiltà e coscienza, necessariamente crei qualcosa che ti appartiene. Che appartiene più a te che al mondo. È lì che vorrei arrivare."

QUESTA è già musica!!!!!!!!