NOBILTÀ DEI VINI BISIACHI
"né per lo spirito, né per lo gusto,
né per altra qualità, che nei più pregiati
si cerchi, non cedon la palma"
di Silvio Domini
Non è qui il caso di lodare ancora il più classico dei vini monfalconesi e cioè il Pucino, al quale, secondo le informazioni dell'insigne naturalista romano Plinio il Vecchio, va il merito di aver mantenuto in salute ed in vita fino alla tarda età l'imperatrice Livia. Così lo studioso si esprime nelle pagine della sua Storia Naturale: "...gignitur in sinu Adriatici maris, non procul a Timavo fonte, saxeo colle, maritimo afflatu, paucas coquente amphoras". In passato si è discusso molto e si è scritto diffusamente onde determinare a quale vitigno odierno corrispondesse il Pucino. A noi interessa solamente che tale celebre vino venisse prodotto ai margini orientali del nostro Territorio in una condizione ambientale che è nostra.
Sempre dalle opere di Plinio e da quelle di Virgilio, lo storico e traduttore Giuseppe Berini da Ronchi (1746-1831), attinse le notizie su due altri vini che le nostre terre offrivano già in epoca romana. Riportiamo l'interessante passo riguardante San Canzian d'Isonzo:
" Andava ancor io dicendo tra me: qui, ove presentemente gracida l'importuno ranocchio, in tempi lontani eccheggiava da un luogo all'altro il giulivo canto del carettiere di Nauporto e di Emona, che aveva cioncato ciotole ricolme della dolce Elvola e del durevole vino prodotto dalla vite Aminea. Questi due vini corrispondono alla Rebola e al Cividino. Sono ambidue vini bianchi e ricercati, in modo particolare dai popoli della Carniola e della Carinzia. Il nome di Rebola deriva dal vocabolo latino di "helvola", con cui denotavasi la stessa uva di quei tempi, come lo dimostra la uniformità della desinenza e, meglio ancora, il colore dei suoi acini. L'uva di tal nome ha un certo rosso pallido tendente al giallastro, quale è appunto il colore che dicevasi "helvus" dai Latini. Nel Cividino si combinano i connotati assegnati da Virgilio pel secondo vino, cioè di essere un vino da durata, "vimum firmissimum", e di venir prodotto da una vite scevra di minio, "aminea". Certe vini come il Refosco e simili varietà, contengono nella cellulare della parte legnosa una sostanza colorata che imita il cinabro detto "minio" dai Latini. Questa sostanza al tempo della lagrimazione scola fuori pei tagli della potatura, insieme alla linfa della vite, e tinge gli strati mucillaginosi che vi si formano intorno al tronco. La mucillaggine che si condensa sulla vite del Cividino non è rossa, ma pallida e cioè "Aminea".
La presenza del Cividino, in Bisiàc chiamato Zividìn, e della sua coltura nelle nostre terre ci viene pure confermata da un antichissimo toponimo del territorio comunale di San Canzian d'Isonzo (Saganziàn). Esiste appunto una località denominata già in tempi lontani al Zividin, nome che venne registrato nelle mappe catastali del 1818 nella versione italianizzata di Cividino.
In un codice dell'Archivio Comunale di Monfalcone, risalente agli anni 1447-48, sono registrate le molte spedizioni di merci dal porto di Monfalcone e dirette a Venezia, consistenti per la maggior parte in agnelli, lino e un'infinità di botti di vino del Territorio. Per dare un breve esempio riportiamo le registrazioni del giorno 15 maggio 1447:
Die XV mai ser Petrus Tajapiera de Burano conducis Venetias in eius barcha arnasia (1) tria circullata vini, sunt urne (2) octo.
Die suprascripto Johanes Petri de Burano conducit in Venetias in eius barcha arnasia duo vini, sunt urne sex. Item unam barillam vini.
Die suprascripto Julianus de Venetiis, procurator ser Nicolai de Claricinis mittit, par Victorem Oxello de Venetiis patronum barche, arnasia 16 et barillas quatuor vini, sunt urne 43 vini.
Così accadeva quasi ogni giorno. I vini locali, in questi tempi medioevali andavano a rallegrare le mense dei nobili veneziani (3).
Lo storico udinese conte Basilio Asquini nel 1741 così scriveva dei vini del Territorio monfalconese, e a lui, intenditore e specialista, possiamo credere in quanto la sua famiglia possedeva da secoli vaste tenute presso Staranzano:
Ma in niuna cosa spicca maggiormente la meravigliosa attività di questo Territorio, che nella produzion delle piante (4), le quali ben nutrite, e perciò ritte, grosse e succose s'incontrano quasi in ogni luogo: singolarmente le viti, né di più feconde, né di più folte crediamo che in tutto il suo imperio possa vantare Bacco. Parrebbe cosa difficile a credersi, e forse tra le menzogne da reputarsi, quando ciò non constasse da Quartesi, o sieno Decime, di una ogni quaranta misure, che si pagano nel Territorio de Monfalcone alli Parochi, il dire, che questo picciolo e ristretto paese, che appena per la metà è piantato di viti, essendo in molti luoghi occupato da monti, prati, pascoli e spezialmente da longhe e ben larghe paludi, imbotti un anno per l'altro circa dodicimila Orne di vino, che danno Conzi (4) circa ventimila, misura di cui servesi la maggior parte del Friuli. Ma ciò che rende maggior meraviglia si è, che in tanta copia di vino, non vi manca il suo pregio: se però si eccettuano le Rossare, da cui spremesi un sempre debole e scolorito licore. Gli altri tutti sono, per le mense particolarmente, di una singolarissima stima: dimodochè né per lo spirito, né per lo gusto, né per altra qualità, che nei più pregiati si cerchi, non cedon la palma, non dirò solamente a quelli del resto del Friuli, quntunque di squisitissimi ne produca, ma ne pure ad alcun altro de più lodati che ne vanti l'Italia; imperciocché molto pettorali sono e passanti; e di più grand'acqua portano senza gran fatto scemare di vigore...".
Che questo singolare apprezzamento ci arrivi dal conte Asquini, non è dir poco e possiamo supporre che uno di questi vini lodati sia stato il Picolit. Forse proprio dalle campagne di Dobbia i Conti Asquini portarono questo vitigno a Fagagna presso il loro castello. Infatti il nipote Fabio Asquini nel 1762 iniziò, per la prima volta, il commercio di questo dolce e profumatissimo vino bianco, facendo soffiare a Murano delle bottiglie speciali che presero la volta delle Corti europee e del Vaticano. L'origine bisiaca del Picolit certamente è una supposizione, ma che viene avvalorata dall'esito della presentazione dei migliori vini della Contea Principesca di Gorizia e Gradisca alla Mostra Internazionale di Londra del 1862, dove vennero premiate con medaglie d'oro le sei bottiglie di Picolit dell'anno 1849 prodotte dal possidente monfalconese Domenico Vio nei vigneti di Staranzano e Dobbia. La Società Agraria Goriziana, nel dare, in un suo periodico, questo lieto annuncio, informava che del Picolit vincente erano disponibili 1.000 bottiglie, uguali a quelle inviate a Londra per la giuria.
Concludendo, Monfalcone e il suo Territorio, possono ben a ragione vantare eccellenti vini, che trovano nella storia illustri predecessori.
Note:
1) Arnaso, "botte per il vino"; recipiente in legno per cantina.
2) Orna, tino per le vendemmie; misura per liquidi (anticamente sotto Venezia corrispondeva a sei secchie).
3) A questo proposito, nel testo Delle rime piasevoli di diversi autori, nuovamente raccolte da M. Modesto Pini, & intitolate La Caravana, Parte prima, in Venetia (appresso Sigismondo Bordogna) 1573, troviamo: "In casa mia ieri pi pien che un vuovo, / Vini da mar, vini da Monfalcon".
4) Conz, antica misura per vino, in legno cerchiato in ferro, di circa 85 litri.
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