domenica 20 dicembre 2009

Le radici antiche della nuova arte



Olio su tela dell'artista goriziano Luca Suelzu

Messaggero Veneto — 18 dicembre 2009
pagina 11 sezione: CULTURA - SPETTACOLO

di IVAN CRICO L’incertezza nei confronti di quel grande punto di domanda che è il futuro ci porta, spesso, a cercare rifugio nel nido - solidamente intrecciato e caldo - della cosiddetta tradizione. Dimenticando però che ogni tradizione, nel momento in cui è nata, è stata anch'essa, sempre, innovazione. L'avvento di qualcosa di nuovo, diverso e quindi, per definizione, perturbante. La tradizione non è, in fondo, che un'innovazione che la società ha deciso, per svariati motivi, di adottare. Oggi molti ascoltano Beethoven per rilassarsi, ma, se leggiamo qualche recensione dell'epoca, ci rendiamo subito conto che quei suoni per noi così suadenti, per le orecchie dei suoi contemporanei non dovevano risultare meno digeribili delle note prodotte dai nastri magnetici del veneziano Luigi Nono. Va detto però che, fino agli inizi del Novecento almeno, fino a Picasso e a Rilke per intenderci, il dialogo con ciò che gli artisti avevano creato nel passato è sempre stata una pratica ineludibile. Un passaggio obbligato. L'artista, ancor prima che inventore, doveva essere conoscitore. Ogni nuovo virgulto si innestava dunque, producendo frutti sempre diversi, sul tronco di pratiche manuali e teoriche collaudate nel corso di millenni all'interno delle botteghe, nelle cantorie, durante le lezioni di metrica. Negli ultimi decenni questo dialogo si è spesso interrotto e, dalla maggior parte della popolazione (ma non solo), l'arte contemporanea è stata percepita spesso come un organismo a sé, autoreferenziale, il cui solo “fin è la maraviglia”, parafrasando i versi del poeta barocco Giambattista Marino. Una sorta di gara, in fondo, a chi la spara più grossa. Se non c'è alla base una vera volontà di dialogare con chi ci sta di fronte, anche il pensiero più geniale però, alla fine, rimane lettera morta. E così, come ha fatto notare di recente la critica Angela Vettese, le opere di molti artisti osannati negli ultimi anni sono presto cadute, velocemente come velocemente erano state acclamate, nel dimenticatoio delle cose che mai diventeranno, con il tempo, tradizione. Complici il mercato dell'arte, gallerie potentissime che - a suon di dollari, euro, sterline, rubli o yen - decidono nelle grandi capitali del mondo cosa andrà la prossima stagione. Per cui si scelgono, il più delle volte, artisti funzionali al raggiungimento di determinati obiettivi, relegandoli poi in soffitta quando non servono più. L'arte, se non desidera ridursi ad altro che a merce, deve riappropriarsi della sua capacità di indicare nuove vie, vie percorribili a un'umanità sempre più allo sbando. Offrendo futuro, nuovo ossigeno, non strade senza uscita. Facendo, come diceva Saba, della «poesia onesta». Non importa poi se un artista dipinge su tela o fa un’installazione, se uno scrive sonetti o recita i suoi versi gridandoli in un centro sociale. L'importante è che la sua opera nasca da una sincera volontà di comunicare ciò che sente e pensa. Senza infingimenti, doppi fini. Non si può non accogliere con grande interesse, dunque, il lavoro che con impegno e in forma disinteressata sta portando avanti da anni, in regione, l'artista e curatore di mostre Paolo Toffolutti assieme alla Neo Associazione Culturale. Un lavoro teso a mettere in luce la produzione artistica locale e, al tempo stesso, capace di far conoscere spazi pubblici bellissimi (ma a lungo poco sfruttati) come quelli proposti per accogliere le opere presentate nel progetto Spazi Pubblici Arte Contemporanea. Un progetto che, a partire dal 7 novembre, con la mostra Specchio specchio delle mie brame chi è il più artista del reale? si propone come una riflessione sul recente lavoro di alcuni tra i nostri più interessanti artisti visivi. La mostra ha coinvolto quattro comuni, tra cui Buttrio e Venzone, e continua ancora (fino a domenica) nel suggestivo medievale Castello di San Pietro a Ragogna e nello splendido, ignorato dai più Palazzo Locatelli a Cormòns fino al 27 dicembre. Si tratta di mostre che testimoniano innanzitutto il grande livello qualitativo raggiunto dagli artisti del Friuli Vg negli ultimi decenni, come la pittrice Manuela Sedmach o il fotografo goriziano Kusterle, solo per citare qualche nome, apprezzati a livello internazionale per le straordinarie invenzioni e la raffinatezza esecutiva. Non più dimenticata periferia la nostra regione, ma, come nella Trieste di Joyce, di Svevo, di Blazen, laboratorio di nuove visioni e pensieri capaci di unire la valorizzazione delle radici culturali e uno sguardo ampio, libero sul resto del mondo. Opere in forma di video, pittura, oggetto, istallazione, grafica, fotografia, scultura che - spiega Paolo Toffolutti - sono poste «in dialettico rapporto fra soggetti, pratiche, idee per costruire relazioni tra i siti storico-artistici che le ospitano e il pubblico, invitato in questo periodo autunnale a compiere un petit-tour fatto di luoghi, visite, inaugurazioni, incontri...». Particolare non trascurabile, quello di indurre le persone a spostarsi, perché spesso dimentichiamo che quando vi sono tagli alla cultura togliamo - di riflesso - lavoro anche a benzinai, trasportatori, negozi di abbigliamento, parrucchieri, ristoranti, bar, alberghi e chi più ne ha più ne metta. Se rimani in pantofole a casa a guardare la tv, difficilmente metti in moto l'economia locale. I nostri amministratori dovrebbero ricordarlo sempre. Non ultimo tra i meriti di questa iniziativa - occorre sottolinearlo - è l'uso davvero lodevole dei finanziamenti regionali, invero assai scarsi, concessi per realizzare queste quattro splendide mostre, curatissime e accompagnate da un ottimo catalogo. A dimostrazione che con poco si può far tanto. E che bisognerebbe iniziare - a differenza di quanto si fa di solito, con curatori strapagati e ospiti i cui cachet da noi si decuplicano per magia - a premiare chi dimostra di far buon uso del pubblico denaro, facendo vera cultura, valorizzando il territorio e chi ci vive. «L'arte serve a ritrovarsi» dice L. Vergine. Ed è sempre una sorpresa, questo rientro, se siamo sempre molto di meno e molto di più di ciò che pensiamo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

L'arte vive nel tempo di ciascun artista che, a sua volta at-tra-versa il tempo di altri. artisti e non. Ne nasce un tempo deragliato, amplificato,intrecciato o sintetizzato in cui prende vita l'opera. Non è detto, spesso, che questa sia conclusiva.Penso piuttosto che ogni opera sia un segmento di un tracciato che si arti-cola (colonia o colonizzare ha la stessa radice) e si compone più e più volte per aggregazioni nei territori e nel tempo interiore dell'artista,e non sono mai le stesse, anche se, certo, spesso c'è un segno, una parola-chiave che è comune a tutto l'iter. L'artista, secondo me, non ha alcun dovere nei confronti del suo elaborato se non quello di entrare o avvicinarsi ad esso con onestà, che non ha niente a che vedere con il senso comune dell'onestà in campo sociale e morale strettamente inteso. Se il suo lavoro è onesto, ovvero non scarta nulla a favore di un obiettivo pre-figurato, l'opera è o sarà onesta, cioè porterà anche agli altri qualcosa e non è importante che sia la stessa.Anzi,meglio se, per ciascuni, si diversifica la percezione del percorso.
Se l'arte ha un prezzo, come fanno spesso,calcolando al metro il valore di un quadro,allora non c'è alcun valore nel nome che in esso viene riconosciuto alla pari di un codice a barre.Il mercato non è l'anima dell'arte è un mondo a parte e spesso intralcia l'arte.fernanda