giovedì 22 gennaio 2009

La poesia? Meglio dal vivo. Di Lello Voce


La poesia? Meglio dal vivo
L’Unità, 2008

di Lello Voce


C’è un fantasma che si aggira nelle librerie italiane: il libro di poesia. Nascosto sugli scaffali meno in vista, ignorato da commessi e clienti, raramente messo in vetrina, appena sopportato dai distributori, appena tollerato da qualche grande editore (Einaudi, Garzanti, Mondadori ad esempio) ma più che altro come vezzo di qualità, fiore all’occhiello di transatlantici editoriali che su ben altro investono tutte le loro risorse di marketing e danaro, il libro di poesia langue a un passo dalla morte definitiva, senza per altro morire mai, quasi fosse un animale preistorico, un dinosauro miracolosamente scampato alle darwiniane leggi di adattamento e selezione della specie, che continua ad aggirarsi tra le nostre pianure e le nostre montagne, più o meno invisibile, a volte avvistato da questo o quel turista in escursione, ma poi irrimediabilmente perso di vista.

Fuori dalle librerie, lasciati alla porta, restano inoltre centinaia di titoli all’anno che non hanno neanche la fortuna di sostare qualche mese su quello scaffale nascosto, prima di passare nel limbo dei resi, poi nel purgatorio degli stock dei Remainders, per infine andare all’inferno del macero.
Eppure l’Italia è un paese che pullula di poeti.
Siamo certamente migliaia, forse decine di migliaia di scriventi versi. Si tratta di un mercato che dà da vivere a decine di case editrici, piccole e un po’ meno piccole, più o meno serie, che pubblicano anche, o soltanto a pagamento, cioè con l’impegno dell’autore stesso a comprare in anticipo un numero congruo di copie del proprio libro e che così, grazie al disperato bisogno di ‘esistere’ di frotte di scriventi poesia, grazie a questi poeti (alcuni certamente mediocri, o pessimi, ma altri interessanti, bravi, addirittura bravissimi) si garantiscono profitto e sopravvivenza. Per buona fortuna in alcuni casi, purtroppo in altri.
Del libro in questione, naturalmente, sugli scaffali delle librerie non ci sarà traccia alcuna. Sulle gazzette ancor meno. Di riviste di poesia si è persa ormai ogni traccia.... Così le poche copie che l’autore riuscirà a ‘vendere’ saranno quelle portate con sé ad eventuali reading, e messe lì, in agguato, ad aspettare il pubblico all’uscita, in buon ordine su un banchetto, con il cartellino del prezzo (ovviamente scontato) scritto a penna su un foglio di quaderno. Da questo punto di vista la poesia è merce continuamente in saldo. Almeno in Italia.

Edoardo Sanguineti, un intellettuale attentissimo agli aspetti sociali e ‘politici’ della letteratura, sostiene spesso che in Italia non si è mai letta tanta poesia quanto oggi e questo grazie alla scuola dell’obbligo, che ne stabilisce una certa quantità da somministrare a ciascun allievo. Ha ragione, ma agli ‘obbligati’ spesso poi essa sembra quasi una poesia imposta per legge e decreto ministeriale. Una poesia- condanna, o, nei casi migliori, una poesia-medicina. E’ difficile che da un incontro di questo genere possa nascere un amore. A meno che chi la impone, o la prescrive, non sia capace nello stesso tempo di far scoccare, con la sua passione, la scintilla della passione dell’allievo. Ma di passione, a meno di 2000 euro al mese, i nostri insegnanti, loro malgrado, ne producono sempre meno. Certo, Sanguineti ha ragione, ma domandiamoci anche: come si legge la poesia nelle scuole italiane? La si legge fatta a fette, una o due poesie del Pascoli, qualche canto di Dante, quattro Canzoni leopardiane, due sonetti del Petrarca. Il problema, però, è che i poeti non scrivono solo poesie, bensì, spesso e volentieri, libri di poesie, cioè organismi in cui ogni tessera acquista il suo vero valore solo in relazione alle altre, come in natura, come nelle società edificate dall’uomo, come nel linguaggio. Chi riuscirà sino in fondo a percepire quella certa mediocrità della pascoliana Cavallina storna, se non ha letto la splendida ed altrettanto pascoliana Il lampo, entrambe dedicate all’assassinio del padre? Gli italiani a scuola rischiano di imparare che i poeti non scrivono libri di poesie, ma poesie singole, parti resecate dal tutto e poi messe insieme, magari alla rinfusa, una volta ogni tot tempo, in questa o quella raccolta e se qualche docente invita gli studenti a leggere uno o due romanzi per l’estate, chi di loro suggerisce di provare a leggere, per una volta tanto, un intero libro di poesia? E poi, se leggere Dante è assai più difficoltoso, in primis linguisticamente, che approcciare Montale, o Saba perché si chiede a un quindicenne di chiosare il canto di Ulisse, e a un diciottenne si concede l’apparente semplicità sabiana? Non sarebbe meglio fare il contrario?

Per altro verso, pur essendoci molta poesia, nelle scuole e nelle università italiane, al contrario di ciò che accade nella maggior parte degli altri paesi del mondo, ci sono pochissimi poeti. La scuola pubblica italiana non ha ormai più neanche i fondi per comprare gessi e lavagne, figuriamoci se ha soldi per ospitare un ‘poeta in residenza’, o quelli per organizzare un reading di poesia. Eppure a scuola, a incontrare gli studenti, ormai ci vanno tutti: poliziotti antidroga e sessuologi, esperti di marketing e tenutari di stage aziendali, pompieri ed aviatori, magari astronauti, o soubrette. Tutte degnissime persone, beninteso. Ma perché proprio i poeti no, perché proprio i poeti sempre meno? Proprio loro, che sono gli esperti della geometria dei sentimenti, i domatori di ogni incendio della lingua, gli esperti profondissimi dell’economia del dolore e dell’entusiasmo, proprio loro, minatori dell’animo umano con l’hobby dell’astronomia, proprio loro non possono parlare ai giovani, che di queste cose vivono giorno per giorno, milioni di volte più di un cosiddetto adulto...

Ma la poesia non è stata sempre un’arte ‘minore’. Lo è diventata sempre più, soprattutto nell’Occidente industrializzato e telematizzato, man mano che dalla voce e dal corpo essa si trasferiva sulle pagine dei libri, man mano che abbandonava i territori della Retorica, della recitazione, della performance, per posarsi come una farfalla muta sulle pagine a stampa. Più ‘borghese’ che mai. Ma certo meno del romanzo. Così facendo, per combattere una battaglia già persa, quella con il romanzo, rinunciava a una delle sue caratteristiche principali, cioè quella d’essere un’arte ‘viva’, fatta prima di tutto per essere fruita ‘dal vivo’, parola nata per essere pronunciata. La poesia ristretta nei libri non è solo un’arte minore, rischia così d’essere un’arte ‘minorata’, di caricarsi sulle spalle un handicap che non le compete. Come una donna dalla bellissima voce che si condannasse, di sua volontà, al mutismo.

Tutto perduto? No. Restano i festival, i poetry slam e la Rete. E lì le faccende vanno in modo ben diverso. Lì c’è vita, lì c’è ricchezza d’idee, lì c’è futuro, proprio perché attraverso la Rete, gli Slam e i festival la poesia riscopre la sue radici: quelle di essere nata per e nella comunità (non è forse questo il compito assolutamente inutile e insieme assolutamente necessario del poeta: quello di scoprire le parole giuste perché la comunità ed ognuno di coloro che ne fanno parte possa riconoscere la propria identità?) quelle di essere per eccellenza arte della performance, arte dal vivo per i vivi, parola che abita la voce e il corpo del poeta, arte dello scambio (dello sharing, del peer to peer) e del contrasto, del combattimento, del canto e del dialogo. Proprio come nei festival, proprio come nei poetry slam, proprio come in Rete. E basta fare un tour nei principali siti italiani dedicati alla poesia, o decidere di dedicare una serata più stramba del solito andando ad un festival, o addirittura partecipando a un poetry slam per scoprire che la poesia avrà anche pochi lettori, ma ha certo un suo rispettabile pubblico, nemmeno poi tanto esiguo, che accumula centinaia di migliaia di accessi Internet, per rendersi conto, insomma, che essa, come ogni sabotatore che si rispetti, non si fa mai trovare dove ci si aspettava che fosse, ma è già altrove, parla già altre lingue, percorre altre strade, scommette su sentimenti e idee e progetti assolutamente inauditi, imprevisti. Come è sempre accaduto, e confido sempre accadrà, nei secoli dei secoli.

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