sabato 17 ottobre 2009

Premio Marin al bisiaco Ivan Crico


DI GIOVANNI FIERRO

il Piccolo — 16 ottobre 2009
pagina 12 sezione: GORIZIA

Per il poeta e pittore Ivan Crico è un momento importante. La sua più recente raccolta poetica, “De arzent zu-D’argento scomparso”, edita dall’Istituto Giuliano di Storia, Cultura e Documentazione, si è aggiudicata il “Premio nazionale Biagio Marin” edizione 2009, da quasi vent'anni il maggior premio dedicato alla poesia nei dialetti e nelle lingue minoritarie in Italia. La vittoria di Crico è giunta ad ex aequo con il poeta brianzolo Piero Marelli, e la sua silloge “I nocc-Le notti”, edita da Lieto Colle. Per Crico, vissuto da sempre a Pieris e ora trasferitosi a Tapogliano, questo riconoscimento è una ulteriore conferma della sua ricerca artistica, che con l’uso e lo studio del dialetto bisiàc, lo ha già da tempo portato all’attenzione di pubblico e critica nazionali. La cerimonia di consegna del premio si terrà a Grado, domani alle 17.30 nella sala consiliare del Municipio.

Crico, cosa significa vincere questo premio?

Questo premio mi sembra, innanzitutto, un inaspettato raggio di luce sul lavoro mio ma anche, di riflesso, su quello di molti miei validissimi coetanei la cui opera non è stata scandagliata con la dovuta attenzione in questi ultimi decenni dalla nostra critica nazionale. Un vuoto che dovrebbe essere al più presto colmato, anche per far capire al pubblico che esiste ancora una poesia viva, problematica in Italia, intrisa di bellezza e speranza. E che molto ancora si fa e molto si farà, ne sono certo.

Qual è il bisogno odierno dello scrivere in dialetto?

Esistono zone dove queste antiche parlate sono quasi scomparse; altre, come da noi, in cui questi linguaggi, seppur naturalmente modernizzati, sono ancora molto vivi. Per chi come ha imparato prima il bisiaco e poi l'italiano - e che, soprattutto, in bisiaco si esprime ogni giorno - è una scelta del tutto naturale. Così facendo, inoltre, contribuiamo a mantenere viva in noi e negli altri l'immagine di un mondo ricco, pieno di sfaccettature, di suoni, colori, profumi diversi: un mondo che si oppone ai deserti, al nulla dell'omologazione.

E la sua forza? Apre forse nuovi e diversi mondi di sensibilità ed evocazione? Uno sguardo ‘altro’?

Rispetto alle lingue nazionali, gli idiomi locali assorbono, dei luoghi in cui si formano, molte caratteristiche particolari. Non sono frutto soltanto della mente dell'uomo ma dell'incontro/scontro tra l'uomo e la natura che lo circonda. Si tratta di linguaggi nati senza la mediazione del potere e dunque, in essi, si cela intatta la carica sovversiva della vita che non è mai uguale a se stessa, che incessantemente diventa 'altro' da ciò che è stata, mobile, inafferrabile, insofferente ad ogni definizione.

C’è la necessità di fare di ogni dialetto una lingua?

Ogni dialetto, potenzialmente, può diventare lingua nazionale ed ogni lingua nazionale può trasformarsi in dialetto. La storia insegna. Dipende da quale prospettiva si guardano le cose. Dante ha trasformato il volgare fiorentino in un linguaggio illustre, Pasolini il rustico casarsese, parlato per secoli soltanto da poveri contadini, in una lingua raffinatissima. La nobiltà di una lingua dipende dalla nobiltà del pensiero di chi la impiega.

In ‘Piture’, c’è una fondamentale presenza dei colori (azzurri, viola, rossi, neri…). Ha trasportato su carta il suo dipingere?

Sono un pittore e guardo le cose con gli occhi di un pittore, non potrebbe essere altrimenti; ma scrivo per dire ciò che con i pennelli, con il silenzio dei colori non potrei mai dire.

Il paesaggio è protagonista degli scritti che compongono ‘Piture’, come mai? Cosa vede in lui?

Il paesaggio rappresenta tutto ciò che sta al di fuori dell'uomo, oltre l'uomo. Simboleggia ciò che non possiamo sapere, il mistero immenso che ci circonda. I limiti del nostro pensiero che tutto vorrebbe dominare, controllare, e che in realtà quasi niente sa di sé e, ancor meno, conosce ciò che gli sta attorno.

Che ruolo ha lo scrivere, poesia in particolare, nel nostro presente? E nel suo quotidiano?

Rispondo citando una frase bellissima del premio Nobel per la poesia Seamus Heaney: "Penso che il ruolo del poeta abbia a che fare con la sopravvivenza dell'interiorità più profonda dell'uomo. I poeti devono aiutare le persone a preservare la fiducia nel proprio futuro".

Si collega la sua poesia al pensiero, o solo al sentire? Quale è il suo gesto creativo, la sua direzione?

Lo studio è per me fondamentale. Ma non scrivo mai se non sento vibrare dentro di me, vive, le parole. Sulla scia luminosa di Holderlin, Rilke, Char, Jabés, Celan - autori la cui opera accompagna quasi ogni mio giorno - immagino una poesia in perenne cammino, in cui conoscenza e sentimento devono andare necessariamente di pari passo, come diceva un testo medioevale, "di inizio in inizio attraverso inizi che non hanno mai fine".

Per chi scrive, la parola è un inganno, o una verità?

Le parole sono semi. Non sappiamo se questi semi riusciranno a generare il frutto che celano in sé. L'unica cosa che sappiamo è che se non li piantiamo, sicuramente, il frutto non vedrà mai la luce. La vita dell'artista non è altro che questa oscura, paziente semina silenziosa di sogni. La nostalgia, insopprimibile, di qualcosa che ancora non c'è.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Ivan! Posso pubblicare il link al tuo bel blog su "byzance"?

Ancora felicitazioni,


alberto

ivan crico ha detto...

certamente! Ciao!