Particolare dell'opera "Italicus Saurus" di Ivan Crico esposta fino al 29 gennaio 2012 ai Musei Provinciali di Gorizia all'interno della mostra "Le connessioni dello stivale" organizzata dall'associazione di promozione dell'arte contemporanea "Prologo" di Gorizia.
Le connessioni dello stivale
"Ogni grande Artista è storico o profeta.”
Tra unità e pluralità
Venire a riflettere, a 150 di distanza, sul valore e sul significato dell'unità d'Italia, comporta non poche difficoltà a chi è sempre più preso dai problemi e dalle questioni poste dalla contemporaneità, da un mondo che è sempre più globale, da una comunicazione che è sempre più connessa in rete. Al richiamo delle celebrazioni del 150° anniversario dell'unità d'Italia, tutti noi abbiamo in qualche modo risposto rivedendo con occhi nuovi il tricolore, rinfrescando più o meno recenti memorie scolastiche che ci parlavano dell'impresa dei Mille, della Giovine Italia o della “rivoluzione senza rivoluzione”. Le immagini di Garibaldi, Mazzini, Cavour, rispolverate per l'occasione, ci sono passate davanti agli occhi, insieme a quelle di alcuni dipinti di Fattori, o magari ad alcune scene di certi film di Visconti.
Ma tornando poi alla nostra contemporaneità, il valore e il significato dell'unità d'Italia oggi, non potevano che apparirci nella loro difficoltà e contraddittorietà, o, quantomeno, nella loro molteplicità di significati, nella loro necessità di rinnovarsi.
Soprattutto in un territorio quale il nostro, unitosi all'Italia 57 anni più tardi, avente una sua peculiarità, una sua pluralità di lingue, d'identità, di culture, nel suo essere marginale, nel suo essere terra di confine, il punto di vista da cui si pone l'osservazione sia sull'identità nazionale sia sull'unità non può che essere plurale. E soprattutto in un momento dove fondamentale è l'educazione al cosmopolitismo, alla condivisione, il punto di vista non può che essere molteplice, in un'idea di confronto tra le diverse parti, in un'idea di relazione, italiana e europea, che tenga conto dalla dimensione globale.
Ecco dunque che qui non parliamo di unità ma di “connessioni”, ovvero di altri legami, ulteriori, più stretti, multiformi, più intimamente sentiti; e non parliamo di Italia, bensì più affettuosamente, e anche più concretamente, dello “stivale”.
La forma dello stivale sta infatti alla base della riflessione di 16 artisti goriziani e di territori limitrofi, che su questa forma, per certi versi pure bizzarra, hanno espresso le loro idee, le loro speranze, i loro dubbi, alla luce della contemporaneità, alla luce del concetto di unità oggi. Pensieri e riflessioni che hanno portato a risultati molto diversi, assumendo toni talvolta ironici, talvolta disillusi se non addirittura severamente critici, ma sempre e comunque “appassionati”.
Perché l'arte è un'“espressione appassionata, simpatica, poetizzata dell’ideale, come l’umanità lo concepisce, lo intuisce, o lo desidera”, come scriveva Giuseppe Mazzini, del quale senz'altro molti conoscono la statura di patriota, quella del politico e del filosofo, sicuramente meno i suoi pensieri intorno all'arte.
E' molto interessante invece il suo saggio intitolato “La peinture moderne en Italie” pubblicato negli anni del suo esilio a Londra su una prestigiosa rivista inglese, la “London and Westminster Review” del 1841. Trattando del Romanticismo come un'arte nazionale e popolare, viene ad affermare, tra l'altro, che l'artista, il “grande artista”, è “storico o profeta”....
Un po' storici e un po' profeti credo possano essere considerati anche questi 16 artisti che hanno affrontato il tema comune dell'unità d'Italia, coniugandolo alla loro personale sensibilità, ponendo uno sguardo verso il passato, ancora una volta comune e personale, e cercando di analizzare il nostro presente, da diversi punti di vista, sotto diversi aspetti, per individuare un probabile o soltanto possibile futuro.
Alessandra Ghiraldelli del tricolore ha selezionato il rosso, un rosso sangue, un rosso passione, per dare vita alla sua “Italia Rossa”. Ogni singola regione viene progressivamente “cucita” insieme alle altre, seguendo il percorso legato all'esperienza individuale dell'artista, relativamente alla conoscenza della propria nazione. Come fosse un fragilissimo puzzle o una personalissima tela di Penelope, l'operazione, nel suo farsi, necessita di una continua attenzione affinché i pezzi, o i fili, non si disperdano o si confondano, affinché i legami non smettano di avere un senso e di esserci.
All'opposto fa Claudio Mrakic che con il colore bianco cancella l'“Italia” dall'Europa: la meticolosità e la pazienza del processo di cancellazione, che avviene mediante una sovrascrittura di numeri, segni, parole, non può non sottendere un sincero desiderio di far tabula rasa da cui, tuttavia, poter poi ripartire, ricominciare, ricostruire. Dall'immagine finale, per certi versi anche molto poetica con l'idea del Mediterraneo che giunge ad accogliere e confondere la nostra nazione, si può solo attendere una riapparizione, una nuova Italia che rinasca quale nuova Venere, dalle spume delle onde del mare.
La “Mappa visionaria” di Paola Gasparotto rischia di incantare in maniera quasi ipnotica chi guarda, come una sorta di mandala che trasforma in immagine iconica la forma della penisola italiana e in simboli archetipici i vari elementi naturali. E' proprio l'aspetto di icona dalla magica fissità, che rende indubitabile ciò che vi è rappresentato, conferendogli un valore che va al di là dello spazio e del tempo consueti, nostri, per approdare in una dimensione sospesa, ammaliante, carica di suggestioni.
A confondere le acque e le regioni d'Italia gioca invece Silvia Klainscek, nello stupore della constatazione che lo sperone, il tacco, la punta, le due isole maggiori e le altre parti dell'Italia risultino facilmente interscambiabili con le altre regioni. Questo è ciò che avviene infatti nei suoi “Arcipelaghi in forma di stivale”: in parte puro divertissement, in parte occasione di riflessione sull'importanza della forma e della sostanza, sul valore dell'unità dell'insieme, a prescindere dalle singole peculiarità e individualità.
Un'immagine che appare e scompare, creata dalla luce, in mezzo ad una natura vaga, seducente e inquieta, è quella dell'Italia delle immagini fotografiche intitolate “Rievoluzione” di Franco Spanò, nate dalla fascinazione della ricchezza narrativa del libro “I profeti e i re” di Tabari e dalla rilettura della nostra costituzione. Qui analisi storica e anelito profetico si mescolano sovrapponendosi a creare un racconto che inizia dall'idea di un Eden luminoso, prosegue attraverso la volontà di costruire una struttura, per giungere infine alla necessità di un ritorno alla natura: in un desiderio di rinascita e di rigenerazione.
Nika Šimak sembra voler suggerire un'idea del tricolore e dell'Italia che vada rinnovata, rinfrescata da una corrente pura e trasparente in cui i confini della penisola ritagliata al suo interno, appaiono più flessibili, adattabili, tutto sommato relativi. Parallelamente l'artista ha ideato un'altra opera in cui prevale il concetto di unità come legame, espresso con delle scarpe dai lacci tricolori, appese ad un filo. Il loro cammino, sotteso, ricorda il percorso della storia, e sembra ammiccare a Van Gogh, o a Sigalit Landau insieme.
Alle “Connessioni invisibili” è dedicata l'installazione di Damjan Komel, artista che già da qualche tempo nella sua opera riflette su questo tema. I 27 tasti sparsi, liberati dalla console di un computer, vengono raccolti su una tavola rotonda, decorata con delle stelle che potrebbero essere quelle della bandiera europea. Uno dei tasti ha la sagoma dello stivale al posto del segno grafico consueto; tutti sono fatti di polistirolo e ricoperti si briciole di pane: struttura e sovrastruttura, artificiosità e naturalità, legami in rete invisibili e possibili, che richiedono un confronto più diretto, più vero e più sincero, urgente.
In una dimensione europea si proietta pure il lavoro di Lara Steffe, il cui titolo è volutamente proposto in lingua inglese: “Into my mind”. I pensieri dell'artista si riflettono in un'Italia trasformata in uno stato di effervescenza, tagliata a metà, con il Sud che occupa la parte superiore e il Nord quella inferiore, a testimonianza, di una confusione, di un “equilibrio instabile”, di un'unità insufficiente, non bastante a se stessa. Forse per questo la figura che sta in alto, metafora dell'ideale, della tensione del pensiero, appare proiettata altrove, alla ricerca di riferimenti più certi, sicuri, più ampi.
Che a tenerla unita questa “Italia 2011” ci voglia la forza e la volontà dell'ottimismo e della ragione ce lo dice Lia del Buono offrendoci un'immagine vera, concreta, reale dello “stivale” quanto vero e concreto è il materiale scelto per l'opera: la juta. Una corda, spessa, lo tiene unito: è l'idea della forza, della volontà, l'idea che la forma, lo stato esistente da soli non bastano; c'è bisogno di una partecipazione diretta, di una presa di posizione chiara; c'è bisogno di credere in un legame tanto resistente quanto lineare, semplice, essenziale.
E all'Italia come un qualcosa di cui ci dobbiamo riappropriare nel modo più semplice e immediato, pensa Paolo Figar che nella sua opera invita a voltare pagina, come si cambia canale alla televisione, come lo può fare un bambino, cercando ciò che è veramente interessante e veramente importante. Il titolo dell'opera, “Volumealto”, allude infatti al gesto del bambino che se ne sta in piedi, con la sua Italia portatile in una mano e il telecomando nell'altra, intento ad annullare l'immagine caotica della “Piccola geografia mediterranea” che gli sta difronte, per dar voce ad un altro possibile scenario.
Alessio Russo immerge un'Italia appena riconoscibile in un vortice di colori, in un fantasmagorico universo fatto di segni forti e contrastanti, in un mare di banane, in un mondo che unisce e confonde “Gorizia – Nova Gorica - New Dehli”. L'immagine dello Stivale si confronta con quella di Ganesha, la Divinità Indu col viso elefantino. La testa d'elefante è simbolo benaugurante di forza e di coraggio intellettuale, il fiore di loto che spesso l'accompagna, simboleggia la più alta meta dell'evoluzione umana. A tale divinità si attribuisce la capacità di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.
Alla nostra più illustre tradizione letteraria si richiama invece Stefano Ornella nella sua opera intitolata “Purgatorio 76, Italia politica” in cui riattualizza i celebri versi di Dante: “ Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di province, ma bordello!”. Le parole (ancora una volta storiche e profetiche insieme) paiono infrangersi sulle coste della penisola, paiono minacciarne la sua stessa esistenza, prendendo corpo nelle immagini poste a lato che accentuano il senso di decadenza, di assenza di una guida, di un riferimento.
Sullo stesso tenore si pone l'opera di Francesco Imbimbo, “Pizza connections”, che descrive un'Italia che non c'è più perché divorata dal debito pubblico, umiliata dai suoi storici mali, dalla corruzione, dalla mafia, nei suoi valori più veri. La bandiera agitata dal vento non garrisce sulla cima di un'asta ma si trova ad occupare il posto di una tovaglia, dove i resti di una pizza, triste metafora dell'italianità, rappresentano ciò che rimane su cui poter riflettere, per cercare di cogliere ancora un senso, una ragione.
L'“Italia prospettica” di Angelo Simonetti propone uno sguardo verso l'interno che è insieme un affondo storico e un invito a guardare le cose più in profondità. Lo spettatore è invitato a riflettere sul cammino, lungo, faticoso, travagliato dei diversi territori italiani verso l'Unità, interpretando lo spazio come tempo, la profondità prospettica come sequenza cronologica. Lo sguardo procede dall'esterno verso l'interno e dal fondo verso la superficie, facendo emergere la forma dell'Italia quale risultato finale di una conquista da non poter sottovalutare, in un certo senso, imprescindibile.
Una sollecitazione positiva all'unità pare venir suggerita anche da Roberto Merotto nella sua “Italia”, una scultura caratterizzata da spinte dinamiche, linee flessuose e melodiche, al tempo stesso continue e divise. Diviso appare lo Stivale rispetto alle sue isole maggiori, mentre continuo è il ritmo plastico dell'opera che procede in forma prevalentemente ascendente seppur interrotto qua e là da stacchi complementari, per certi versi imprevedibili, comunque necessari: come un controcanto che giunge a sottolineare il tema principale.
Infine una storia immaginaria è quella raccontata da Ivan Crico dove protagonista è un fantomatico dinosauro, l'“Italicus Saurus” le cui zampe hanno lasciato delle orme, di recente riscoperte, che ricordano in modo sconcertante la forma del nostro paese. L'insieme può alludere alla “fossilizzazione” di alcune questioni difficili da affrontare, o alle stratificazioni di un passato mai indagato e conosciuto fino in fondo; ma può far anche pensare ad una storia da riscoprire, ponendo attenzione ai suoi più inediti risvolti, nei mobili riflessi di un cielo che continua a rispecchiarvisi, tra la luce del sole e l'ombra delle nuvole.
Franca Marri